Autore: Giuseppe Radole
Anno di pubblicazione: 1997
Casa editrice: Istituto Regionale per la Cultura Istriana
La lettura di questo libro è una interessante scoperta per ritrovare tante cose della tradizione istriana che ancora oggi sono attualissime. Infatti le indagini etnografiche e il recupero della tradizione avviato nel tempo da mons. Radole, sono un'opera fondamentale ai fini della conservazione, mantenimento e sviluppo di quella dimensione popolare delle genti istriane che altrimenti sarebbe andata quasi totalmente perduta. Lo sradicamento della società istriana avvenuto con l'esodo ha indubbiamente determinato una più veloce tendenza alla dissoluzione di quella quotidianità fatta di usi, costumi e credenze che altrove viene recuperata come ricchezza locale ma che, nel caso delle nostre terre, risulta difficile per il suo precedente percorso devastante. Nello stesso tempo, l'area istriana, soprattutto nella sua dimensione rurale, è stata a lungo luogo di ottima conservazione di tradizioni che altrove non trovavano riscontro già da molto tempo.
Giuseppe Radole ha dedicato parte della sua vita al recupero del detto e dell'uso, spaziando dalla musica e dai canti popolari alle credenze e al costume del vivere quotidiano, perchè delle tradizioni popolari, con tutto il loro bagaglio di superstizioni, descritte nel libro, che nel passato prosperavano in terra istriana, dove nelle campagne si campava in condizioni precarie ben poco si trova ancora nel vissuto attuale, specie per quel che riguarda il ciclo della vita umana.
Nell'avvicendamento dei vari momenti dell'anno agricolo, invece, per l'inesorabile alternanza dei ritmi stagionali, sopravvivono ancora molte cose, nel pur generale passaggio alla meccanizzazione: il trattore tuttofare è subentrato alla maestosa presenza dei buoi e a quella modesta ed umile degli asinelli.
Don Radole ha inserito nel libro storielle e filastrocche: Bela note de Nadal " bela messa voi cantar, Canta, canta rose e fior " che xe nato nostro Signor Troviamo anche la spiegazione della tradizione dell'albero di natale, del presepio, degli auguri di Capodanno. A mezzanotte si credeva che l'anno trascorso, raffigurato come un vecchio stanco, dalla lunga barba bianca, discendesse dalla sua carrozza, per cederla all'anno nuovo, un vispo fanciullo pieno di salute. E poi baci ed abbracci, brindisi ed auguri: Ogi un ano in salute! E si spalancavano (bora permettendo) le finestre rivolgendo l'ultimo addio all'anno che andava: Se ti ieri bon, Dio te compagni, se ti ieri cattivo che "l diavolo te magni. Insomma paradiso o inferno.
Leggendo questo libro si ritrovano vaghe sensazioni di nostalgica dolcezza che contribuiscono alla conservazione della memoria storica della cultura istriana.
Nadia Giugno Signorelli
Pagine: 182