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L’Italia oltre i confini

Si è tenuto la mattina di sabato 22 ottobre nella sala conferenze della Lega Nazionale in Via Donota 2 a Trieste il secondo convegno promosso dal gruppo Facebook Essere italofoni, in collaborazione con il movimento Trieste Pro Patria e la Lega Nazionale. Il tema era L’Italia oltre i confini. Si voleva fare nuova luce sull’italofonia al di fuori della Repubblica Italiana. Folto, interessato e appassionato il pubblico in sala. Riassumeremo di seguito i primi interventi pronunciati, rinviando i successivi a “L’Arena” di dicembre.

Superare la divisione esuli-rimasti

Antonino Martelli, presidente di Trieste Pro Patria, ha affermato che il moderno irredentismo non vuole «spostare i confini, che sono definitivi, ma difendere l’identità nazionale italiana, che non corrisponde allo Stato italiano». «Noi – ha detto – piano piano abbiamo superato il trauma tra gli esodati e i rimasti. C’è stato un muro, che quello di Berlino in confronto non era niente. Gli esodati non volevano saperne dei rimasti, considerati traditori. C’era un odio e il rifiuto di tornare in Istria. Mio papà, che era di Rovigno e non voleva tornare, mi portò per la prima volta nel ’72 a rivedere i luoghi della sua infanzia. Prendemmo la “Dionea” e, come arrivammo al molo di Rovigno, vedemmo un pescatore che cuciva la sua rete. I due si abbracciarono senza dire una parola. Non erano amici, ma si erano riconosciuti come persone che avevano avuto in comune la vita nella Rovigno italiana. Questa divisione, questo pregiudizio tra le associazioni degli esodati e quelle dei rimasti è stato per tanti anni un muro anche per noi giovani. Io stesso non andavo in Jugoslavia, perché era come andare in un territorio nemico. Noi come Trieste Pro Patria siamo andati in Istria e abbiamo ricucito un poco lo strappo. Qui ci sono persone discendenti della diaspora (alcune hanno anche una seconda casa in Istria) e persone rimaste. Sentirsi italiani in Slovenia o Croazia è un’altra cosa che qui in Italia. Bisogna superare questo pregiudizio ideologico. Le ideologie sono cadute. E’ inutile parlare di comunismo e anticomunismo. Non esistono più. E tra fascismo e antifascismo si rischia di perdersi. La nuova battaglia è quella per l’identità: chi vuole preservarla e chi invece si arrende alla globalizzazione. Qualunque patriota italiano, al di là di come la pensa politicamente, combatte la nostra battaglia. Io sono andato anni fa all’Unione degli Istriani ingenuamente dicendo che rappresentavo un gruppo di ragazzi, figli di esuli, e chiedendo se ci davano una stanza dove poter coltivare questo amore per l’Istria di là. Mi è stato risposto che a loro di là non interessava niente. Ci hanno chiuso la porta, non ci hanno voluto».

Tutelare l’italiano in Costituzione

«La lingua – ha osservato Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale – è la porta d’accesso alla cultura, alla civiltà, che sono la parte sostanziale dell’identità nazionale. E l’identità nazionale è un problema non di ieri, ma di oggi e di domani. Dal fatto che la politica non se ne occupi dipendono gli attuali problemi riguardo all’immigrazione o ai rapporti con l’Europa. Vorrei recuperare una proposta di legge costituzionale presentata nel 2012 dall’on. Roberto Menia per aggiungere all’art. 12 della Costituzione il seguente comma: “La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica, che ne promuove la conoscenza, il rispetto, la diffusione e la valorizzazione, nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzioni”. Una simile norma esiste anche in Slovenia e Croazia. Che ciò avvenga anche in Italia è estremamente opportuno, perché l’italiano va benissimo che venga difeso in tutte le aree italofone, ma se al contempo non viene difeso in Italia diventa un lavoro inutile. Se andiamo avanti a legiferare in termini di Job Act, è inutile pretendere che l’italiano sia valorizzato in Corsica o in Ticino. Se in Italia lasciamo perdere l’italiano, scompare dappertutto. Con Maurizio Tremul, nel ’91-92 avevamo firmato un programma di iniziative comuni tra FederEsuli (che allora presiedevo) e Unione Italiana. Poi probabilmente la situazione non era ancora pronta. Però è chiaro che avevamo ragione noi che lo volevamo fare e avevano torto coloro che si opponevano». Massimiliano Fabbri, fondatore del gruppo Essere italofoni, ha osservato che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo (era terza lo scorso anno) e che occorre cercare di annullare o ridurre al minimo gli anglicismi. «Da anni – ha detto – l’Accademia della Crusca ha caldeggiato l’inserimento della lingua italiana in Costituzione, ma sempre invano».

La stampa istriana tra la fine della guerra e l’esodo

Paolo Radivo, direttore de “L’Arena di Pola”, ha letto una relazione sulla stampa istriana tra la fine della guerra e l’esodo. «Nell’Istria sotto occupazione jugoslava – ha detto fra l’altro – gli unici giornali ammessi erano quelli gestiti e finanziati dal regime jugoslavo, di cui riportavano fedelmente la linea. Inoltre avevano libero accesso i giornali jugoslavi. Attraverso la Linea Morgan potevano invece entrare solo i quotidiani filo-jugoslavi della Zona A. Il più importante giornale di Istria, Fiume, Cherso e Lussino (nonché l’unico in lingua croata) era il “Glas Istre”». Al secondo posto era “La Voce del Popolo”. Ebbero vita breve i quindicinali “L’Istria nuova”, “Ricostruzione” e “La bandiera dei lavoratori”. L’unico quindicinale non titino tollerato dal regime fu il mazziniano “Risveglio”, ma per breve tempo. Nell’Istria appartenente alla Zona B della Venezia Giulia avevano una certa diffusione due quotidiani titoisti di Trieste: il “Primorski dnevnik” e “Il lavoratore”. Radivo ha aggiunto che nell’enclave di Pola i giornali erano tutti in lingua italiana. Uscivano due quotidiani: “L’Arena di Pola” (democratico filo-italiano) e “Il Nostro Giornale” (filo-jugoslavo), e tre settimanali (tutti democratici filo-italiani): “La Posta del Lunedì”, il satirico “El Spin” e “Democrazia”. A Pola vennero inoltre stampati tre numeri unici: “Lega Nazionale”, “Trincea e reticolato per l’Italia” e “Archimede”. Numerosi furono i giornali clandestini stampati da gruppi di esuli e introdotti a rischio della vita in Zona B. I più longevi furono il “Grido dell’Istria”, “La Voce del Quarnero” e il “Va’ fuori ch’è l’ora”. Effimeri furono invece “Sferza”, “Italia libera”, “Osservatore”, “La nostra Voce”, “Il buon istriano”, “Il proletario”, “Cortina d’acciaio”, “Fiume libera” e “Libertà”. Nel marzo ’46 l’ufficio stampa del Comitato Giuliano di Roma cominciò a stampare un bollettino quotidiano, cui dal 27 giugno ’46 subentrò il giornale bisettimanale “Il Problema Giuliano”. Dal 19 aprile al 10 maggio ’47 a Udine fu edito il quotidiano “La Posta degli Esuli”. In varie città italiane, su iniziativa di gruppi di profughi ivi insediatisi, uscirono dei numeri unici come “Istria nostra”, “Va’ pensiero”, “La voce del Carnaro”, “Julia”, “Adriatico italiano”, “El ciacolon” e “La Voce di Fiume”, tutti effimeri.

Senza i rimasti non vi sarebbe più italianità

«Concordo – ha esordito Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana – con la proposta di inserimento nella Costituzione italiana dell’italiano come lingua ufficiale. Lo sloveno è previsto come lingua ufficiale dalla Costituzione slovena e il croato da quella croata. In Slovenia una legge regola l’uso dello sloveno nella vita pubblica e sociale. Il nuovo Governo croato sembra, a differenza di quello precedente, avere un’apertura verso le minoranze nazionali e la comunità nazionale italiana. Il ministro del Turismo Gari Cappelli, se proprio non si dichiara esplicitamente italiano, è il figlio del fondatore della Comunità degli Italiani di Lussinpiccolo ed è persona di grande valore e competenza molto vicina alle nostre cose. Oggi da Ronchi dei Legionari a Pola si trova un continuum di bilinguismo: italiano-sloveno sul Carso triestino, sloveno-italiano nell’Istria slovena e croato-italiano fino a Pola. Questo continuum è consentito dalla permanenza di chi ha continuato a coltivare la lingua e cultura italiana. Ovviamente una presenza italiana molto meno importante e massiccia di quella che era prima che avvenisse l’espulsione forzata coercitiva di gran parte degli italiani da questo territorio (centinaia di migliaia di persone), ma che comunque resiste e continua a operare».

Estendere il bilinguismo

«Sono quattro – ha continuato Tremul – le Municipalità in Slovenia in cui vige il bilinguismo: Ancarano, Capodistria, Isola e Pirano, anche se solo nella stretta fascia costiera. Sono 22 le località in Croazia in cui vige il bilinguismo o alcune sue forme: Valle, Verteneglio, Fontane, Castellier-S.Domenica, Orsera, Fasana, Grisignana, Visignano, Montona, Portole, Torre-Abrega, Buie, Visinada, Pola, Dignano, Rovigno, Umago, Cittanova, Parenzo, la Regione Istriana e, in parte, Cherso e Fiume nella Regione Litoraneo-Montana. La Costituzione slovena stabilisce che, nei luoghi “nazionalmente misti” dove vivono gli appartenenti alla comunità nazionale italiana e rispettivamente a quella ungherese, è lingua ufficiale anche l’italiano e rispettivamente l’ungherese. Il principale problema per l’italiano in Slovenia è il gap enorme tra l’assetto giuridico-costituzionale dei diritti assicurati e la loro applicazione, che, se a livello municipale è abbastanza buona, benché dovrebbe essere migliorata, a livello statale è molto carente. L’ufficialità della lingua italiana nel Capodistriano viene interpretata in modo estremamente restrittivo, come un diritto non del territorio, ma solo degli appartenenti alla comunità italiana che ivi risiedono, con uno stravolgimento della Costituzione. Nel territorio nazionalmente misto del Comune di Capodistria io ho diritto di parlare in italiano con l’autorità e di avere risposta in italiano, ma se uno risiede fuori dal territorio nazionalmente misto non ne ha diritto e, se un italiano d’Italia o uno di Buie vuole parlare in italiano a Capodistria, questo diritto gli viene negato. E’ un’interpretazione assolutamente errata. Almeno l’11% degli appartenenti alla comunità italiana nel Capodistriano vive fuori del territorio nazionalmente misto. Lo abbiamo segnalato al Consiglio d’Europa, che lo ha fatto presente alla Slovenia. Questa battaglia ha prodotto un effetto, che non è quello che volevamo: il Ministero dell’Amministrazione sloveno ha detto che gli appartenenti alla comunità italiana fuori dai territori nazionalmente misti godono comunque dei diritti linguistici individuali nel rapporto con la pubblica amministrazione. E’ un passo avanti. D’altra parte c’è una resistenza fortissima di Stato e Comuni ad estendere il territorio nazionalmente misto. In Croazia vorremmo introdurre il bilinguismo almeno nel centro storico di Abbazia, Albona, Fiume e Zara, soprattutto ora che il Governo Plenković gode del sostegno degli 8 deputati delle minoranze, tra cui l’on. Furio Radin. Nell’accordo di governo ci sono aspetti sulla tutela e la valorizzazione della lingua italiana e delle altre minoranze abbastanza importanti, che il Governo ha preso l’impegno di attuare, creando un piano di attuazione entro 60 giorni dal suo insediamento».

Toponomastica da recuperare

«Quanto alla toponomastica, nell’Istria slovena – ha rilevato Tremul – dopo la caduta della Jugoslavia sono stati ripescati tutti i santi delle località slovene, mentre 20 località italiane ne sono rimaste senza: ad esempio “Lucia” invece di “Santa Lucia”. Il traforo sotto Monte San Marco ora si chiama così, ma il monte resta “Marco”. Ti scontri con un muro di gomma. La piazza principale di Capodistria ahimè si chiama ancora “Tito”: sarebbe ora di chiamarla in maniera diversa».

Insegnare l’italiano nelle scuole slovene e croate

«Stiamo lavorando – ha aggiunto Tremul – per la reintroduzione obbligatoria dell’italiano come “lingua dell’ambiente sociale” nelle scuole dei territori in cui vive la comunità nazionale italiana. Non come lingua straniera o facoltativa. Era un diritto-dovere nell’ex Jugoslavia, poi è andato perso. In Croazia siamo riusciti a reintrodurlo in parte con l’aiuto delle municipalità, ma serve un’azione molto più organica. Gli iscritti nelle scuole italiane per l’anno scolastico 2016-17 sono 4.564 (il 15% in più rispetto a 10 anni fa), di cui 1.168 in Slovenia (+30%) e 3.396 in Croazia (+11%). Il problema è il calo degli iscritti nelle medie superiori, perché possono offrire meno indirizzi di studio, mentre c’è un aumento di iscritti nelle elementari e negli asili. Un altro punto importante è la produzione e la stampa dei libri di testo per le scuole italiane, tradotti da quelli sloveni o croati, su cui siamo molto indietro. Mi sto anche battendo per inserire nei programmi didattico-pedagogici di tutte le scuole la storia del territorio, per far conoscere come gli italiani l’hanno costruita dando un immenso contributo al patrimonio culturale. Abbiamo chiesto la registrazione in Slovenia (ora lo faremo anche in Croazia) del patrimonio culturale materiale e immateriale italiano (compreso l’istroveneto) presso il Ministero della Cultura. Abbiamo inoltre appena presentato due progetti europei Italia-Slovenia per corsi di lingua per funzionari pubblici, imprese private (camerieri, operatori portuali, guide turistiche), migranti e sordomuti, nonché un dottorato congiunto tra l’Università del Litorale di Capodistria e Ca’ Foscari di Venezia sull’interculturalità. Un altro progetto riguarda la costituzione del primo Museo virtuale dell’alto Adriatico che metta in rete i musei di quest’area con la valorizzazione del patrimonio culturale nostro».

Intensificare la collaborazione con gli esuli

«Stiamo allacciando – ha proseguito Tremul – collaborazioni con l’Associazione Giuliani nel Mondo, che sono stati recentemente da noi a Pola, e l’Unione Italiani nel Mondo. Stiamo rafforzando la collaborazione con FederEsuli, con cui stiamo costituendo un’entità in Croazia per la comune promozione del patrimonio storico, culturale e linguistico italiano anche a fini socio-economici. Questo potrebbe essere il primo soggetto congiunto esuli-rimasti. C’è già l’Accademia dei Risorti a Capodistria, che però collega solo i capodistriani. Secondo me è stato straordinario il Percorso della memoria e della riconciliazione, compiuto il 12 maggio 2012 grazie al Libero Comune di Pola in Esilio e alle altre associazioni degli esuli, toccando Capodistria, Strugnano, la foiba di Terli e Pola sui luoghi delle violenze fasciste e comuniste per le vittime dei totalitarismi. Penso che l’aver deposto un fiore e recitato una preghiera tutti assieme sia stato un grande passo avanti, una tappa miliare che poi abbiamo ripetuto l’anno successivo ma che non ha avuto l’eco che mi sarei aspettato».

«Non mi riconosco nel proclama annessionistico»

«Per noi – ha affermato Tremul – il 2016 è importante: 25 anni dalla fondazione dell’Unione Italiana, erede giuridico ma non politico della vecchia Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, che non era anti-totalitaria. Io non mi riconosco nel proclama dell’UIIF del ’44 per il ricongiungimento dell’Istria alla “Madrepatria croata”. Ricorre altresì il 20° del Trattato tra Italia e Croazia sulle minoranze, firmato il 5 novembre 1996 dai ministri Granić e Dini. Lo celebreremo il 7 dicembre alla Camera. Dobbiamo rafforzare la nostra collaborazione per rafforzare la presenza di lingua, cultura e identità italiana sul territorio nel senso più mazziniano e genuino del termine».

Una conferenza e un corteo

Il convegno ha avuto luogo nell’ambito di una due giorni patriottica organizzata da Trieste Pro Patria, Lega Nazionale ed Essere Italofoni nel fine settimana più vicino al 72° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia (26 ottobre 1954). La sera di venerdì 21 ottobre, presso la Lega Nazionale, i giornalisti Valerio Lo Monaco e Federico Zamboni, responsabili della testata “la Voce del Ribelle”, hanno tenuto un incontro su Omologazione Globale o Sovranità Nazionale?. Tra i temi in discussione: la lingua come parte della dipendenza culturale dal modello anglosassone e veicolo di una determinata visione della vita, il ruolo della TV e del circo mediatico, le alternative alla colonizzazione dell’immaginario collettivo in termini di sovranità culturale e linguistica e le possibili forme di resistenza individuale e comunitaria. Alle 18 di sabato 22 ottobre un corteo patriottico è partito dal sacello di Guglielmo Oberdan percorrendo il centro cittadino e deponendo mazzi di fiori in Via Imbriani e in Piazza Sant’Antonio Nuovo presso le targhe che ricordano rispettivamente i morti del 5 maggio 1945 e del 5-6 novembre 1953.

L’Arena di Pola, 1 novembre 2016