L’italiano non va in vacanza
Condividiamo dal sito del Comitato 10 Febbraio questo articolo, già pubblicato sulle colonne del quotidiano “Avvenire”, del Prof. Alessandro Masi, Segretario Generale della Società Dante Alighieri e Consigliere dell’Associazione Nazionale Dalmata.
A differenza di Venezia, a Curzola, l’isola più bella tra Spalato e Ragusa, le navi da crociera non possono attraccare. Ferme a due miglia dal porto, le mostruose città galleggianti ogni giorno vomitano centinaia di turisti molto spesso ignari di tutto. Le grandi statue dei leoni della Serenissima Repubblica apposte sui bastioni della città, guardano sornione la scena a memoria di un passato che in quest’isola non è mai passato, neppure ai tempi del comunismo di Tito. Del resto le testimonianze d’arte qui conservate, su tutte quelle della cattedrale di Sveti Marko (San Marco), sono indelebili. La mano degli scultori italiani che hanno incoronato la facciata con il bel portale antropomorfo e il campanile in stile romanico che svetta sui tetti, probabilmente non sapevano che stavano preparando un gioiello che avrebbe incastonato anche i preziosi dipinti di un grande artista veneziano, il Tintoretto. Di un altro celebre italiano, ma forse meglio sarebbe dire veneto-dalmata, Marco Polo, quest’isola rivendica i natali esibendo orgogliosamente la casa (Kuća) e piccoli negozi con brutti souvenir a poco prezzo. Quello che potrebbero dire invece i documenti, è che nel lontano 8 settembre del 1298, nelle acque antistanti, si svolse una furiosa battaglia navale tra genovesi e veneziani (la Battaglia di Curzola), in cui Marco Polo stesso venne fatto prigioniero.
Ogni mattina alle sei, puntuali al secondo, le campane di bronzo della cattedrale segnano festose l’inizio del nuovo giorno ricordando a tutti gli abitanti della bella Korcula, la nera e dolce Korkyra, come la chiamarono i greci, gli impegni quotidiani fatti sostanzialmente di piccole cose. Qualche anziano del posto al mercato sfodera ancora un italiano prezioso, delicato come un vetro di Murano, ricordo dell’occupazione fascista del 1942-43, quando la follia d’Europa si abbatté anche su questo paradiso di luce e di colori e qui furono comandati docenti calabresi e napoletani a insegnare forzatamente la lingua di Dante. Un innesto che produsse diversi effetti ma non quelli di un’integrazione sociale né tantomeno politica.
Uno studio di qualche anno fa del sociolinguista dell’Università di Zagabria (nativo dell’isola, classe 1932), Damir Kalogjera condotto insieme ad altre due colleghe, Mirjana Fattorini Svoboda e Višnja Josipović Smojver, cataloga migliaia di parole di cui una gran parte di origine italiana o, meglio dire, veneto-dalmata. “Rječnik govora grada Korčule” (“Dizionario della lingua parlata a Curzola”, Novi Liber, Zagabria 2008) è il titolo del volume che testimonia al lettore di oggi quanto fossero profondi i legami che hanno unito per secoli le due sponde dell’Adriatico in quello che anticamente le cartine geografiche chiamavano il Golfo di Venezia. Innanzitutto il gergo della marineria e del mare con i termini arsenãl (arsenale), parangãl (parangale), trampulîn (trampolino), majstrãl (maestrale), kanoćãl (canocchiale); quelli più famigliari come sinjorîna (signorina), pápe e máma (papà e mamma) e della casa come jogàtula (giocattolo), jës (gesso) e della cucina, pérśut (prosciutto), salsa e makarunj che non hanno bisogno di traduzione, ma solo di un assaggio per gustare la loro bontà e quella della salsa di sugo di pomodoro, appunto, nel quale sono immersi. Ma questi sono solo pochi esempi di un vocabolario molto più ampio. Anche se Damir Kalogjera non lo scrive, appare del tutto ovvio che tale documento vuole essere una sorta di testamento linguistico di una civiltà che per secoli ha condiviso storia e tradizioni in un contesto del tutto insolito per i Balcani, preservando con orgoglio un legame naturale anche con l’Italia. E’ un patrimonio linguistico di cui dobbiamo tener conto per il nostro futuro e quello delle nuove generazioni d’Europa se s’intende realmente proseguire in direzione di un vero multiculturalismo. L’omologazione dell’Inglese, oggi qui dispiegata a tutta forza nelle agenzie di viaggio, nei supermercati, nei negozi, nei caffè e tra i giovani livella in basso una varietà linguistica che, in questa perla dell’Adriatico, dovrebbe essere preservata come una riserva naturalistica.
Alessandro Masi