Magazzino 18 e le altre…è Resurrezione con Cristicchi a Trieste
Il cantautore ha presentato all’IRCI il suo CD, “Album di famiglia”
La musica ed un approccio artistico mettono d’accordo tante anime e tante aspettative. E’ stato un Venerdì Santo fuori dal comune, nella sala grande dell’IRCI, nella sede di via Torino a Trieste. L’appuntamento per un folto pubblico era con Simone Cristicchi, cantautore affermato che deve la sua notorietà a Sanremo, a vari passaggi sul piccolo schermo, al suo spettacolo “Mio nonno è morto in guerra” nei teatri d’Italia.
La verità è nel dialetto, afferma, lui romano da undici generazioni. Il dialetto è poesia: “Non ho sordi da lasciare in eredità e allora vi lasciò la verità”. Il dialetto è sincero, mentre la lingua è spesso lecchina. “Garbato amore mio, non c’ho voglia di fare il sordato, sono nato per stare co’ te. Se in questa guerra morissi anch’io, amore mio non te disperà che anche lontano dal core c’è sempre un fiore che la guardia te fa”. Mio nonno si chiamava Rinaldo – spiega – ed aveva sempre freddo, anche d’agosto, se ne stava seduto con le gambe tuffate in una coperta e raccontava della Campagna di Russia. Partirono in tanti, ne tornarono dieci. Gli diedero una medaglia perché era sopravvissuto con quaranta gradi sotto zero, riuscendo a fare i bisogni in meno di dieci secondi.
E seguendo le piazze del suo spettacolo, Simone Cristicchi, ad un certo punto giunge a Trieste, visita il magazzino 23 in Porto Vecchio alla ricerca di spunti di quella storia che sta proponendo, studiando, analizzando. Viene intercettato ed indirizzato ad un altro Magazzino, sempre nel Porto chiuso, con un altro numero però, il 18, dove è riunito ciò che rimane delle masserizie degli esuli. E’ passione a prima vista, voglia di condividere, scatta l’amicizia con Piero Delbello…il resto sta evolvendo. “Nel momento in cui i miei occhi cercavano qualcosa, lui (Delbello, ndr) mi ha aperto una grande porta e la sua disponibilità e la passione che mi ha trasmesso hanno fatto nascere delle canzoni”.
Importanti, se si considerano le riflessioni di Chiara Vigini, Presidente dell’IRCI, che ha confidato al pubblico la sua perplessità nell’ospitare una serata di musica in un giorno in cui la sua famiglia, fino all’ultima generazione, l’avrebbe considerato inopportuno se non blasfemo. Eppure – confessa la Vigini – pensandoci, a lungo, ho capito che questo incontro è un segno della resurrezione di un popolo, che gli altri finalmente vedono e “cantano”. Allora ho detto sì.
Nella notte dei miracoli – come nella canzone di Lucio Dalla – un’altra confessione ancora. Piero Delbello introduce l’amico Cristicchi e velatamente aggiunge che arrivano da esperienze politiche molto distanti (anche il restauro del palazzo che ospita l’IRCI d’altronde è stato voluto da parti contrapposte: Menia-Illy, ricorda delbello) ma c’è qualcosa che si muove al di là di ogni scelta di campo, il fine ultimo, la condivisione di un’idea e di un progetto che hanno trasformato un incontro occasionale, in una splendida sfida: ad ottobre il teatro Stabile del FVG (il Rossetti) inaugurerà la stagione di prosa con uno spettacolo diretto da Antonio Calenda, affidato proprio a Simone Cristicchi che presenterà la vicenda dell’Adriatico Orientale, intitolato Magazzino 18. Lo stesso titolo della canzone inserita nel CD “Album di famiglia”, uscito a ridosso del 10 Febbraio e una delle ragioni dell’incontro con il cantautore a Trieste nei giorni scorsi.
Un bell’impegno per Cristicchi che venerdì si presentava ad una sala curiosa e severa. L’esodo non è facile da raccontare, ma si può fare, anche partendo da testimonianze minime, con garbo, eleganza, lontano dalla retorica. E da cosa ha iniziato Cristicchi? “Sono romano da generazioni – racconta – e andando a scuola leggevo ogni mattina, ad una fermata del bus, Villaggio Giuliano Dalmata. Quante volte mi sono chiesto chi fosse il signor Giuliano Dalmata. Oggi lo so, grazie anche alla collaborazione con Jan Bernas autore di “Ci chiamavo fascisti eravamo solo Italiani” con il quale sto scrivendo i testi dello spettacolo. Ora ho capito chi era quel signore Giuliano Dalmata”.
Che cosa ha scoperto? La profondità delle storie, la magia degli oggetti che raccontano la vita, la bellezza delle donne istriane, decantata nelle città che l’avevano accolte in strutture prive di ogni dignità trasformate in luoghi dai quali emergere ed andare oltre. Lo canta nel motivo dedicato a Laura Antonelli, da Pola, ultima diva tra le attrici italiane, che con le sue curve morbide è stata il sogno erotico di una generazione ma anche per questo oggetto di cattiveria.
Tra letture di testimonianze dell’esodo, della militanza, dell’ideologia come scelta di vita, canzoni che l’hanno reso famoso come “Ti regalerò una rosa”, ed altre in cui si concede senza riserve alla poesia “Mi manchi, come il mare all’isola…”, ha voluto terminare la sua performance con “1947” di Sergio Endrigo. Lasciando in tutti la pienezza di un’emozione forte, magia dell’arte.
Rosanna Turcinovich Giuricin
L’Osservatore Adriatico
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