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Busto Dante Pola Arsenale Venezia

Mattarella: «Dante, una lezione di coerenza»

In occasione del Dantedì (il 25 marzo) una riflessione del capo dello Stato sull’Alighieri, padre dell’identità italiana:
«Non attualizziamolo a tutti i costi, il suo lascito morale è eterno»

 

Alberto Cavallari, chiosando una famosa riflessione di Elias Canetti, sosteneva che «ci si rifugia nel calendario per rivivere il presente attraverso i suoi anniversari e per cercare una garanzia verso ciò che avverrà. Date e ricorrenze di determinati giorni sono di capitale importanza nella paranoia generale e servono anche ad assorbire la paura».

Chissà se coloro che oggi celebrano il settimo centenario della morte di Dante Alighieri(anniversario se non altro per questi motivi da onorare) sono pienamente consapevoli del valore che ancora riveste la sua opera. Tutti siamo debitori di quel che il suo genio ci ha trasmesso, e lo provano le iniziative in corso ovunque nel mondo. Noi italiani in particolare, dato che è stato l’artefice della nostra lingua e che ci ha trasmesso un’idea di Nazione, quando la nostra una Nazione ancora non era.

 

 

Tra chi Dante l’ha amato fin dai banchi del liceo, c’è Sergio Mattarella. Il quale, per formazione intellettuale, è un umanista. Si è accostato alla Divina Commedia già dall’adolescenza, e non ha mai smesso di coltivarne la lettura. Fatale dunque proporgli il tema di un’opera che, come fu detto del lavoro dello storico francese Fernand Braudel, è «paragonabile al famoso buco magico di Borges… Infatti, attraverso di esso vediamo il più piccolo granello di sabbia insieme a tutti i deserti, il passato insieme all’avvenire, la primavera insieme all’inverno».

Signor Presidente, un anno fa, annunciando questo anniversario, lei disse che «figure come quella di Dante vanno esaminate sotto la luce dell’universalità più che dell’attualità». Ma anche oggi parrebbe inevitabile citare l’invettiva che scaturisce dopo l’incontro con Sordello: «Ahi serva Italia, di dolore ostello…». È l’apice delle descrizioni che il poeta fa di un Paese scosso da lotte intestine e particolarismi, schiacciato da intermittenti decadenze. Guardando al presente, alla nostra cronica carenza di autostima e alla retorica del declino che ci ossessiona, poco sembra cambiato rispetto al 1300.
«Devo dirle che non mi ha mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse. Eviterei, quindi, analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi. Ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile. Peraltro, alcune delle difficoltà e dei punti critici, che lei individua nel nostro carattere di italiani, affondano le radici in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto — inevitabilmente — per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento unitario».

Dobbiamo insomma ricordare che, al di là delle suggestioni e degli infiniti livelli di lettura, l’autore della «Commedia» parla a ogni epoca e chiunque può trovare chiavi per rispecchiarsi nel suo poema.
«È così. Anche per questo motivo, nel discorso dello scorso ottobre, ho parlato dell’universalità di Dante. Cioè della sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre. Dante è stato punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti. Pensiamo, per esempio, alla riscoperta da parte dei romantici, al vero e proprio “culto” civile di cui fu oggetto durante Risorgimento o all’esaltazione retorica che ne fece il fascismo. Proprio la sua fortuna lungo l’arco del tempo dovrebbe indurci a riflettere di più sul lascito — artistico, culturale, morale, quindi unificante — del sommo poeta».

E qual è il cuore di questo lascito, secondo lei?
«Io credo che l’universalità e, insieme, la bellezza di Dante vadano ricercate proprio nella particolare attitudine di penetrare nel profondo nell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni. I vizi che Dante descrive — la tendenza al peccato, secondo la sua concezione filosofica e religiosa — sono gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo: avidità, smania di potere, violenza, cupidigia… La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perché ci parla di noi. Dell’essenza più profonda dell’uomo, fatta di debolezze, cadute, nobiltà e generosità. Basta pensare ai tanti passi della Divina Commedia entrati nel lessico quotidiano e che utilizziamo senza sapere, sovente, che provengono dai suoi versi…
Dante ha fermissimi convincimenti religiosi che lo obbligano a conformarsi completamente al disegno e alla giustizia di Dio. Nondimeno, durante quello straordinario viaggio che è la Divina Commedia, di fronte alle anime di dannati o di beati, l’autore non si spoglia mai del sentimento — umanissimo — della compassione. Credo che in questo dilemma, straordinariamente impegnativo, tra giustizia e compassione, vada forse oggi ricercato uno dei lasciti più importanti della lezione dantesca».

Tuttavia, oscillando tra disperazione e speranza, Dante non trascura le virtù degli italiani. Per esempio la grande umanità e capacità di operare il bene persino in condizioni di avversità. E questo connaturato «capitale sociale» richiama tante cronache di solidarietà di questo duro anno di pandemia… Un anno che qualcuno ha paragonato all’Inferno dantesco.
«Gli aspri contrasti civili che segnarono il travagliato cammino di Dante propongono il valore della persona, il valore della donna, centrale in tutta la sua poetica, richiamano lo struggimento e il senso della Patria, allargandone però via via i confini, affermando il suo essere anche matrigna con riferimento alla condanna all’esilio. Dante non ritiene elemento vincolante la mera comune appartenenza per nascita a uno Stato, a un Signore. I suoi orizzonti, pur nell’amarezza della lontananza obbligata dal luogo natio, risiedono piuttosto nella coscienza di appartenere a una cultura in divenire che trascende quei confini e si esprimerà, nei secoli, nella aspirazione al riconoscimento di una comune identità. Di qui il suo sottolineare le virtù degli italiani, il riconoscimento della loro ineludibile vocazione alla costruzione di un destino condiviso.
Per venire alla parte finale della sua domanda, non so quanto possiamo paragonare la pandemia all’Inferno dantesco. Certo, alcune scene drammatiche che abbiamo visto e vissuto, come la fila di camion con le bare in partenza da Bergamo, avrebbero bisogno della sua immensa capacità descrittiva. Esulando per un attimo da Dante, ribadisco che in questa emergenza abbiamo tutti riscoperto, al di là di tanti e ingiusti luoghi comuni, il grande patrimonio di virtù civiche — solidarietà, altruismo, abnegazione — che appartiene da sempre alla nostra gente».

Come nasce una identità italiana, in un contesto politico e istituzionale frammentato?
«Con la nascita di una identità culturale, il cui strumento principale è la lingua. Alla grandezza di Dante Alighieri contribuisce l’essere stato capace di raccordare fra loro le esperienze, le “scuole” letterarie presenti presso le varie corti dei regnanti e di unirle in una eccelsa modalità espressiva. Accanto ai contenuti della sua lezione civile emerge una lingua, ricca di un suo lessico che rende l’italiano moderno un idioma che, gradualmente, con i processi di progressiva alfabetizzazione, si sarebbe poi trasferito al linguaggio comune quotidiano. Una lingua non astratta, del popolo — definita “volgare” per distinguerla dal latino —, non un esperanto creato artificialmente, bensì il frutto di una riflessione alta di letterati maturata nei secoli, frutto del riconoscimento di una vera e propria civiltà italica. È quello che suggerisce lo stesso Dante, nel suo De vulgari eloquentia, riconoscendo, ad esempio, alla precedente “Scuola siciliana” il suo apporto a quella causa: indicandolo con la citazione di Jacopo da Lentini nel XXIV canto del Purgatorio “Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore/ trasse le nove rime, cominciando/ Donne ch’avete intelletto d’amore”».

Ma l’evoluzione culturale che Dante fa lievitare non finisce lì…
«Infatti. Sono germi di quell’Umanesimo che sarebbe sbocciato nel secolo successivo in maniera prorompente e che perdura nell’identità del nostro Paese. Umanesimo che vide l’Italia contribuire in modo decisivo alla affermazione di caratteri e valori che contraddistinguono, tuttora, la civiltà europea».

Presidente, ha detto all’inizio che il gioco dell’attualizzazione non le piace. Però c’è un aspetto della vita del poeta che potrebbe insegnare qualcosa ai politici di oggi?
«Vale per chi è impegnato in politica, ma vale per tutti: la sua coerenza. Sappiamo quanto a Dante sia pesato l’esilio dalla sua Firenze, la nostalgia per la sua città. C’è un episodio illuminante della sua vita. Un amico fiorentino, di cui non conosciamo il nome, gli scrive che sta cercando di ottenere, dopo ben quindici anni, la revoca per suo provvedimento di esilio e della conseguente condanna a morte. Per ottenere il “perdono” dalla sua città Dante dovrebbe pagare una discreta somma e ammettere, in una pubblica cerimonia, colpe non commesse. La risposta, negativa, di Dante è, insieme, sdegnata e accorata: “Le spere del sole e degli astri, non potrò forse contemplarle dovunque? Non potrò in ogni luogo sotto la volta del cielo meditare i dolcissimi veri, se io prima non mi renda spregevole, anzi abietto al popolo e alla città tutta di Firenze?…».

Non si può svendere la coscienza per la sopravvivenza: è questa la lezione che dovremmo trarre da quella scelta di Dante?
«Il suo senso della giustizia, la sua concezione morale gli impongono di rifiutare. L’interesse personale, la fine del doloroso esilio, non viene barattato con il cedimento delle proprie convinzioni etiche. Non si tratta di moralismo o di superbia e neppure di legittimo orgoglio. Dante è mosso dalla convinzione, altamente morale, che andare contro la propria coscienza renderebbe effimero il risultato eventualmente ottenuto».

 

Il 25 marzo si celebra il primo Dantedì

Il primo Dantedì, che si celebra il 25 marzo (data che coincide con l’inizio del viaggio ultraterreno dell’Alighieri nell’aldilà, nel 1300) nasce da un’idea del giornalista Paolo di Stefano sulle pagine del «Corriere» nel 2017. Il nome è stato coniato con Francesco Sabatini, presidente onorario della Crusca; la Giornata è stata poi istituita nel 2020 dal governo su proposta del ministro Dario Franceschini. Per l’occasione, è in libreria Dantedì. Visioni contemporanee del poeta (pp. 115, euro 15, in vendita nelle Librerie.coop), edito dalla Fondazione Corriere e da «la Lettura», e a cura della Redazione Cultura del «Corriere». Il volume è realizzato con il contributo di visual designer, che hanno creato 25 Cartoline per Dante (progetto ideato da Franco Achilli), e dell’art director del «Corriere», Bruno Delfino. Con testi di Achilli, Alberto Casadei, Paolo Di Stefano e Arturo Carlo Quintavalle. Su corriere.it l’editorialista del «Corriere» Aldo Cazzullo (in libreria con A riveder le stelle, Mondadori) ripercorre con una sequenza di venti video (uno al giorno, fine settimana esclusi) la discesa agli Inferi. L’iniziativa multimediale è curata dal settimanale «7» e da Corriere Tv.

 

Al Quirinale

In occasione delle celebrazioni per il Dantedì, il 25 marzo, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro della Cultura, Dario Franceschini, in diretta su Raiuno, alle 19.10, Roberto Benigni legge il XXV canto del Paradiso nel Salone dei Corazzieri al Quirinale. Presenta Serena Bortone, interviene il gruppo di musica antica Al Qantarah. Sempre per il Dantedì i Musei del Bargello Firenze avviano una serie di iniziative. Tra queste, sul sito fondazioneilbargello.it sarà disponibile il video dei restauri del ritratto di Dante (il più antico giunto fino a noi) e degli affreschi realizzati da Giotto e dalla sua bottega nella Cappella della Maddalena, in vista della mostra «Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante che sarà inaugurata il 21 aprile.

Intervista di Marzio Breda al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – 25/03/2021
Fonte: Corriere della Sera