“Nave che mi porti sulla rotta istriana”
Note e identità. Quella più profonda, quella che definisce l’essenza stessa dell’essere italiani. Quella che diversi musicisti alternativi – o, appunto, identitari – hanno tradotto in canzoni dedicate agli italiani di Istria e Dalmazia. Tra loro innanzitutto la Compagnia dell’Anello, che ha scritto brani che non sono solo parole, ma poesia delle radici in un’Italia che ha dimenticato l’esodo e la sofferenza patita da migliaia di connazionali.
“Noi per primi – dice Mario Bortoluzzi, voce e componente storico del gruppo, in un’intervista a Barbadillo.it – anche per motivi di vicinanza culturale e geografica, abbiamo contribuito a ricordare il dramma delle foibe e dell’esodo, in anni in cui solo il MSI ne parlava. Oggi quei fatti sono ricordati ufficialmente anche dallo Stato Italiano attraverso l’istituzione del Giorno del Ricordo”. Poi c’è stato Simone Cristicchi, che ha girato l’Italia e non solo con il suo “Magazzino 18”. Nello spettacolo tra l’altro viene ricordata anche una canzone della Compagnia: “anche le pietre parlano italiano”, recita infatti ad un certo punto Cristicchi. Si tratta del poetico ed evocativo verso del ritornello di “Di là dall’acqua”, uno dei brani più conosciuti del gruppo padovano. Scelto tra l’altro come titolo di questa rubrica proprio in quanto sintesi perfetta della storia di Istria, Fiume e Dalmazia e dell’importanza della stessa per l’Italia tutta. Un brano che gli insegnanti delle scuole fanno eseguire a cori di studenti. “Ogni volta – è ancora Bortoluzzi a raccontarlo – riusciamo a commuoverci”.
Commozione dunque. La stessa che si prova quando, cantando “Di là dall’acqua” e vari altri brani che la Compagnia dell’Anello e non solo hanno dedicato alle italianissime terre di Istria, Fiume e Dalmazia, si chiudono gli occhi. In quegli intensissimi momenti sembra quasi di essere in quelle regioni. E si riesce a percepirne la forza, la dignità, il dolore. Ma anche e soprattutto l’amore. Quello che ancora oggi si legge negli occhi di esuli e sopravvissuti. Quello che vive in chi, ogni giorno non dimentica “quanto ha sofferto il popolo istriano”. Che abita in una terra in cui “anche le pietre parlano italiano”.
Le canzoni dunque. “Fischiettate, cantate, ripetute. Che – conclude Bortoluzzi – fanno riflettere, fanno capire piano, piano ciò che è successo in quelle terre. Aver contribuito a far cadere il velo è stato per noi un onore”. Continuare a tramandare e ricordare è un dovere.
La canzone
Nave che mi porti sulla rotta istriana,
nave quanti porti hai visto, nave italiana,
nave che attraversi il golfo di Venezia,
agile vai avanti anche solo per inerzia.
Portami veloce sulla costa polesana,
corri più in fretta come una volpe verso la tana,
e tu signora bella non sarai più sola:
danzeremo insieme nell’arena di Pola.
Ascolta in silenzio la voce delle onde
ti porterà sicura verità profonde
perché in Istria non ti sembri strano:
anche le pietre parlano italiano,
anche le pietre parlano italiano.
Siamo nel Quarnaro e sempre più vicini
solo ci circonda la danza dei delfini.
E poi Arbe e Veglia ci guardano passare,
anche dopo cinquant’anni non si può dimenticare.
Ascolta in silenzio la voce delle onde
ti porterà sicura verità profonde
perché in Dalmazia non ti sembri strano:
anche le pietre parlano italiano,
anche le pietre parlano italiano.
Nave che mi porti sulla rotta di Junger,
nave quanta gente è scappata da Fiume
pensa agli stolti che in televisione
chiamano Dubrovnik Ragusa la bella.
Ascolta in silenzio la voce delle onde
ti porterà sicura verità profonde
perché in Italia non dimentichiamo
quanto ha sofferto il popolo istriano,
perché in Italia non dimentichiamo
quanto sta soffrendo il popolo istriano