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November 22nd, 2024
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Parlando di gastronomia istriana a Perugia e Ferrara

Scrivere in prima persona può essere considerato poco professionale, salvo i casi in cui non è possibile fare diversamente, intendo avvalermi di questa concessione. Mi hanno invitata a parlare di gastronomia istriana a Perugia e Ferrara. Due situazioni diverse: nella prima lo spazio di una serata a cena nel ristorante L’Officina che promuove, tra gli altri, anche il progetto “Osmosi dei sensi”. Ambienti raccolti, pubblico scelto o comunque interessato all’argomento, la disponibilità di una web tv che trasmette notizie ed avvenimenti che interessano il locale. Lo staff composto da giovani, provenienti da diverse parti del mondo: tutti ingredienti che aiutano a far circolare idee e proposte. L’artista Lorenzo Fonda in questi interni ha organizzato mostre e suggerito i piatti della cucina triestina, rivelando le proprie origini (Pirano-Trieste), ed è stato lui a suggerire la medesima occasione di “istrianità” nella non vicinissima Umbria. La presenza del pubblico è stato un “regalo” del locale Comitato ANVGD – guidato dal fiumano Franco Papetti – che ha promosso con entusiasmo l’iniziativa tra soci ed amici.
Domenica mattina, due giorni dopo il primo appuntamento, l’incontro si è spostato a Ferrara concepito come una conferenza con pranzo finale ispirato alla cucina istriana. Qui c’è stato il coinvolgimento diretto dell’ANVGD – presidente Flavio Rabar, coadiuvato dalla famiglia Susmel, ancora una volta amici fiumani. Squisiti ospiti che hanno voluto dare forti contenuti storici alle cerimonie del 10 Febbraio riservandosi però la facoltà di inserire una pendice culturale-gastronomica.
Ma non si è parlato di cucina in modo classico, niente ricette, niente esaltazione dei prodotti tipici, bensì una riflessione sul ruolo della tradizione in Istria quale veicolo di ricomposizione di un’identità allacciata al territorio. Il realsocialismo, per più di cinquant’anni nel dopoguerra, aveva imposto anche nei menù un’omologazione che raramente permetteva un’offerta che rispecchiasse il mondo locale. Grigliate miste di carne e pesce, brodo “de bechi” con pastina più o meno scotta, impossibile ordinare un risotto o una pasta che non fossero collosi. Salvo anche qui le poche eccezioni – vedi il ristorante Mario a Salvore che riusciva a mantenere una qualità invidiabile, spesso oggetto d’attenzione delle autorità per cui il ristorante veniva chiuso per scongiurare ogni arricchimento illecito e Mario Maurel saliva sulla barca per passare intere giornate a pescare orate, nel mare di Salvore, in attesa che scadesse il divieto. Puntualmente, era concomitante alla necessità dei politici di organizzare qualche pranzo o cena importante. Sono racconti d’altri tempi. Fino al ritorno di tanta gente alle attività tradizionali a fine anni Ottanta, per esigenze economiche dettate dalla chiusura delle fabbriche politiche. Così da Buie a Pola, la campagna inaridita da anni di incuria, ha ritrovato gradualmente la propria antica fisionomia. Si piantano viti ed ulivi, la qualità diventa per tutti una meta da raggiungere, con orgoglio. Escono dalle cucine di famiglia, le minestre, la pasta casereccia, i brodetti, gli intingoli, per un’offerta che dura tutto l’anno e che va assolutamente assaggiata in loco. Negli ultimi anni poi, si sono fatte strada le eccellenze: la carne di bovino istriano, gli abbinamenti di tartufo e pesce, i sapori istriani rustici ma anche rivisitati da una cucina raffinata, da cuochi che sanno coniugare splendidamente tradizione e modernità. Vino ed olio sono ormai da “degustazione” e si propongono con tutta la loro spiccata personalità.
Parlare di tutto ciò è un invito a conoscere di più queste nostre terre, dalla civiltà dei castellieri all’impronta veneta ed austro-ungarica, attraverso gli itinerari delle chiese affrescate e quello dei mosaici. Anche se promuoverle fuori dai confini senza la presenza dei prodotti locali, è una grande fatica. L’esportazione è ancora un processo complicato. Dopo luglio le cose potrebbero cambiare, sotto quella bandiera europea piena di promesse di condivisione. Una cultura per troppo tempo negata, comunque, è rinata come Araba Fenice, e questo è un fatto.
Rosanna Turcinovich Giuricin

L’Osservatore Adriatico