Quegli strani italiani del Villaggio San Marco di Fossoli
Roberto Riccò, Quegli strani italiani del Villaggio San Marco di Fossoli, «Terra e identità», n. 89, Modena, 2019, pagg. 192, con fotografie b/n, euro 12; il volume può essere ordinato a info@terraeidentita.it
di Elio Varutti – 08/03/2020 – Fonte: https://eliovarutti.wordpress.com/2020/03/08/un-libro-sui-profughi-istriani-del-villaggio-s-marco-di-fossoli-di-carpi-mo/
Colma una certa lacuna il volume di Roberto Riccò sul Villaggio San Marco di Fossoli, attivo dal 1954 al 1970. È ben vero che c’era già un testo miscellaneo assemblato in occasione dei 60 anni della sua nascita per il Convegno nazionale di studi a cura del Comitato Provinciale di Modena dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (A.N.V.G.D.). Detto elaborato è stato edito nel 2016. Mancava, tuttavia, un lavoro che raccogliesse ampie testimonianze dei protagonisti di quel momento di vita, dopo la fuga dall’Istria, Fiume e Dalmazia, fino all’integrazione nella società locale con le grandi difficoltà incontrate, poiché la popolazione autoctona aveva una visione politica di stampo comunista, mentre gli esuli fuggivano proprio dalle prevaricazioni dei comunisti iugoslavi, che occupavano le case, requisivano loro le ditte, i campi, i patrimoni, il letto e le sedie a favore del popolo iugoslavo. Le nuove autorità insediatesi non tenevano conto che soprattutto sulla costa gli antenati degli italiani d’Istria erano prevalentemente di lingua e di cultura veneziana, bizantina e romana. Il Regno d’Italia è arrivato nel 1918 e il fascismo dopo il 1922, andando a segnare sui libri di storia la pesante esperienza del cosiddetto fascismo di confine, la bonifica linguistica degli alloglotti, la proclamazione delle Leggi razziali nel 1938 e l’invasione della Jugoslavia nel 1941, sotto le forze dell’Asse. Di conseguenza gli iugoslavi vedevano in ogni italiano un fascista su cui rifarsi ammazzandolo nella foiba, per vendetta o per programmata pulizia etnica ordita dall’Ozna, il servizio segreto delle milizie di Tito.
Tali aspetti sono presentati nella prima parte del libro, trasformandolo in un grande atto di divulgazione. Poi c’è la cronistoria dell’arrivo a Fossoli delle prime famiglie di profughi istriani e del loro contrastato inserimento sociale, fino all’assegnazione degli appartamenti definitivi in via Ponente a Carpi, durante gli anni ’70.
Andiamo per ordine. Ci sono 7 fasi di attività del Campo di Fossoli. Sorto nel 1942, quando il Regio esercito italiano piantò delle tende per accogliere i prigionieri di guerra militari inglesi, sudafricani e neozelandesi, era il P.G. 73, ossia Campo di Prigionia n. 73, dove passarono 5.000 prigionieri. Dal 5 dicembre 1943 viene trasformato in Campo di concentramento per ebrei della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Sotto la scorta armata di militi italiani partono i primi convogli di ebrei per i campi di sterminio nazisti. Il 22 febbraio 1944, col secondo trasporto, viaggia nei carri bestiame anche Primo Levi, arrestato nel dicembre 1943 in Valle d’Aosta con un gruppo partigiano. In quel periodo la struttura consta di decine di baracche in mattoni, tutte smantellate in seguito, è il cosiddetto Campo vecchio. Il 15 marzo 1944 è trasformato dai nazisti in Campo di Polizia e di Transito. È il principale Campo di concentramento italiano, dato che il lager di San Sabba a Trieste era in una zona di operazioni del Terzo Reich, non facendo più parte dell’Italia. Da Fossoli partono 2.844 ebrei e 2.000 reclusi politici.
Il 2 agosto 1944, con l’avanzare del fronte bellico, il Campo è chiuso e trasferito a Bolzano-Gries, così Fossoli è un centro di raccolta destinata al lavoro coatto nei territori del Reich con la Organizzazione Todt. Dopo la fine del conflitto il Campo accoglie i fascisti e i collaborazionisti militari e civili. Dal mese di agosto 1945 al 1947 accoglie profughi ed ebrei reduci dai campi di concentramento nazisti. Dal 1947 al 1952 don Zeno Saltini accoglie oltre 1.000 bambini e ragazzi abbandonati e orfani. Nel 1954 vengono costruiti 16 edifici per accogliere i profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia fino al 1970; essi fuggono dalle loro terre assegnate dal Trattato di pace alla Jugoslavia. Si trattava di 250 famiglie, per 1.500 persone.
L’Autore del libro ha potuto effettuare le sue ricerche presso l’Archivio storico comunale di Carpi e nell’Archivio storico diocesano della cittadina modenese, oltre che nell’Istituto storico della Resistenza di Modena. Oltre che dell’aiuto della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, la pubblicazione gode della collaborazione dell’Università della Terza Età locale e del Comitato provinciale di Modena dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.