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StriscioneModena

Requiem per il Giorno del Ricordo

Dalla scienza alla deficienza il confine è labile. Le difficoltà che si incontrano nel panorama italiano nell’affrontare temi “scottanti”, che portano alla ribalta momenti storici convulsi sono note.
Lo sono ancora di più quando questi temi appartengono a un passato relativamente vicino, per alcuni forse ancora troppo per dare la loro disponibilità nel discutere le proprie convinzioni che, per quanto giuste o sbagliate possano sembrare, meriterebbero certo un ulteriore approfondimento scientifico che ponga come unico obiettivo la ricerca di una verità storica in senso assoluto, senza mettere in gioco partitismi di sorta.
L’oggettività nella disciplina storica, per cui la bibliografia in materia è enorme, è sempre difficile da definire, ma apparentemente facile da identificare quando si assurge che sia il proprio parere a incarnare questi principi: fare “un passo indietro” non sarebbe certo segno di debolezza, quanto capacità di dialogare e di approfondire tali convinzioni, magari con l’aiuto di qualche esperto.
Se poi tale ricerca si imbatte in temi “novecenteschi”, ecco puntuali i cavalieri del fascismo e dell’antifascismo abbattersi sulle nostre teste per scatenare confronti che oggi assumono carattere di guerriglia urbana, due ombre da cui l’Italia del 2018 sembra ancora incapace di liberarsi.
Ultimo, ma non per importanza, se alla ricetta aggiungiamo la prossimità delle elezioni politiche del 4 marzo, ecco che l’Italia diventa terreno di Apocalisse memorialistica.
Ogni riferimento a fatti o persone diventa, per i politicanti strillatori, lecito. La gara su chi, passatemi il termine, “la spara più grossa”, si infiamma con l’avvicinarsi del fatidico giorno X. Ed ecco che, mai come quest’anno, anche il Giorno del Ricordo è stato macchiato dal teatrino della politica, dagli slogan triti e ritriti e dalle urla di futuri senatori e deputati che, magistralmente, tacciono sull’essenza del 10 febbraio per concentrarsi su slogan più appetitosi per i loro elettori.
Una data che, a detta dello scrivente, non abbisognava di un obbligo istituzionale per essere ricordata, perché si tratta di una complessa vicenda che ha toccato il territorio italiano tutto, dalle fasi dell’eccidio – vedasi le circa 12000 vittime tra l’8 settembre 1943 e il 1947 – a quelle dell’esodo e che meriterebbe senza indicazioni superiori di essere oggetto di divulgazione storica a più livelli.
La delusione regna sovrana per la strumentalizzazione che ha reso vane le parole di quest’anno del Capo dello Stato Mattarella, che ha definito le foibe e l’esodo come «il frutto avvelenato del nazionalismo esasperato e della ideologia totalitaria che hanno caratterizzato molti decenni nel secolo scorso» 1 . A fronte di questo discorso, si auspicherebbe che la memoria delle persone e dei loro familiari vittime o scampate all’oppressione nazionalistica titina, la quale a tratti assunse i tratti di una vera pulizia etnica, possa essere un momento di condivisione di valori indistintamente accettato da tutti e tempo di preghiere per le vittime di
tutte le stragi di qualsiasi colore, laddove il ricordo non ha bandiera. È necessario approfondire il contesto storico, dialogare con la cittadinanza, riflettere sul perché oggi ha così importanza ricordare la vicenda del popolo veneto-istriano- dalmata e, soprattutto, ricordare come i freddi numeri delle foibe e dell’esodo nascondano storie, episodi di vita e lasciti per le generazioni future. Oggi, dietro l’egida zoppicante dell’Unione Europea, in quelle zone martoriate dalla guerra di fine secolo, si sviluppano dialogo,
collaborazione, amicizia tra popoli e stati grazie anche alla sopravvivenza di comunità italofone che si occupano di memorialistica. Le stragi, le violenze, le sofferenze patite dagli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere dimenticate, sminuite o rimosse. Esse fanno parte, a pieno titolo, della storia nazionale e ne rappresentano un capitolo incancellabile, che possa ammonirci sui gravi rischi del nazionalismo estremo, dell’odio etnico, della violenza ideologica eretta a sistema, e che non ha portato alcun
giovamento: al contrario, l’idea mitteleuropea sviluppata a inizio secolo nella regione istriana, in particolare, con la convivenza di ceppi italiani, tedeschi, serbi è la prova che i valori comuni alla base di ogni comunità possano essere il giusto collante per costruire un regime statale con leggi chiare, condivise e comprensibili per tutti.

Oggi sembra sbiadita questa idea e chi ha l’onere e l’onore di realizzare giuste politiche di integrazione fatica dietro a forzati buonismi e promesse elettorali che sorbiscono il solo effetto di delegittimare queste figure politiche agli occhi della gente. Con la diretta conseguenza che, in alcune realtà vicine a chi scrive, si sono consumati incontri forzatamente mascherati dietro al “Ricordo” del 10 febbraio ma mai come quest’anno fertile campo di semina per fazioni che, pur di raccogliere consenso elettorale, si sono ricordati di essere “amici degli esuli” e “fermi accusatori dell’eccidio delle foibe”, favorendo una distopia degli eventi e rendendo serate di informazione vere e proprie campagne elettorali.

In prossimità delle elezioni politiche del 1976 il noto giornalista Indro Montanelli coniò l’inciso: «Turatevi il naso e votate DC».
Oggi, di fronte alla squallida rappresentazione e manomissione del “Ricordo”, c’è da turarsi il naso e basta.
Il mio pensiero, lungi dal non volerlo ricordare, va alle vittime e ai familiari di quelle peripezie, nonché a tutti i cittadini italiani affinché non si sfrutti la storia come deformazione dell’informazione, ma sia spada contro la congiura del silenzio, «la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio» 2 , dove tutto è nascosto e da cui tutti in modo distorto possono trarne vantaggio.

Gianluca Cesana – 18 febbraio 2018

1 Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo”, Quirinale, 10 febbraio 2018.

2 Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo”, Quirinale, 10 febbraio 2007.

Fonte:  Coordinamento Adriatico