Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata
November 21st, 2024
+39 040 771569
info@arcipelagoadriatico.it

Archive: Posts

IMG 20200713 WA0001

Riflessioni a margine del 13 luglio a Trieste

Considerando l’importanza dell’evento avvenuto il 13 luglio a Trieste anticipiamo in parte l’intervento in merito del Presidente della Società di Studi Fiumani Giovanni Stelli, il cui articolo verrà  pubblicato nel prossimo numero speciale della rivista di studi adriatici “FIUME”

RIFLESSIONI A MARGINE

MATTARELLA E PAHOR A BASOVIZZA, LA CROAZIA E LA GIORNATA EUROPEA DI COMMEMORAZIONE DELLE VITTIME DEI REGIMI TOTALITARI

 La cerimonia di Basovizza del 13 luglio con Mattarella e Pahor

Il 13 luglio di quest’anno, come hanno ampiamente riferito tutti i mezzi di comunicazione di massa, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e il presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor hanno deposto, tenendosi per mano, una corona di fiori sulla foiba di Basovizza e hanno poi ripetuto il gesto davanti al

monumento ai caduti sloveni, un cippo che a poca distanza dalla foiba ricorda quattro giovani slavi condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato e fucilati il 6 settembre 1930. La scelta della data non è stata ovviamente casuale: il 13 luglio 1920 venne infatti incendiato dai fascisti il Narodni Dom, la casa del popolo degli sloveni triestini, che appunto in questa occasione, in forza di un protocollo d’intesa firmato dai due presidenti, è stata restituita alla comunità slovena in Italia. Nel suo discorso Mattarella ha detto:

Le esperienze dolorose sofferte dalle popolazioni di queste terre non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano […] a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite da una parte e dall’altra l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando i sentimenti di rancore, oppure al contrario farne patrimonio comune nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro. Al di qua e al di là della frontiera, il cui significato di separazione è ormai per fortuna superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea, al di qua e al di là del confine sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro. In nome dei valori oggi comuni: libertà democrazia pace.

Il presidente sloveno, rivolgendosi al “caro presidente e amico Mattarella, ai cari compatrioti sloveni, ai cari amici italiani”, ha espresso la sua “gioia immensa” perché  “il torto è stato corretto, giustizia è stata fatta”, e in questo “giorno di festa […] stiamo a celebrare insieme, Italia e Slovenia, un’impresa condivisa”, che ha un significato storico:

Oggi, come disse qualcuno, viviamo quei sogni proibiti che si avverano, come se dopo cento anni tutte le stelle si fossero allineate. Ma non lo hanno fatto da sole, siamo stati noi a farlo.

La cerimonia si è conclusa in Prefettura, dove i due presidenti hanno firmato il già ricordato protocollo d’intesa sulla restituzione del Narodni Dom alla comunità slovena ed hanno conferito allo scrittore sloveno triestino Boris Pahor l’onorificenza italiana di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica e l’onorificenza slovena dell’Ordine per Meriti Eccezionali. Lo scrittore, che ad agosto ha compiuto 107 anni, ha voluto dedicare “le onorificenze a tutti i morti che ho conosciuto nel campo di concentramento e alle vittime del nazifascismo e della dittatura comunista”.

La cerimonia del 13 luglio costituisce la conclusione di un lungo percorso di «riconciliazione» iniziato nell’ottobre del 1993, allorché, in seguito ad uno scambio di note fra i governi italiano, sloveno e croato, vennero costituite due commissioni miste storico-culturali, una italo-slovena e una italo-croata, con il mandato di “effettuare una globale ricerca e disamina di tutti gli aspetti rilevanti delle questioni politiche

e culturali bilaterali nel corso di questo secolo”. La commissione italo-slovena concluse i lavori nel 2000 con un Rapporto finale congiunto che sulla questione cruciale delle foibe si espresse nel modo seguente[1]:

 

10. […] L’estensione del controllo jugoslavo dalle aree già precedentemente liberate dal movimento partigiano fino a tutto il territorio della Venezia Giulia fu salutata con grande entusiasmo dalla maggioranza degli sloveni e dagli italiani favorevoli alla Jugoslavia. Per gli sloveni si trattò di una duplice liberazione, dagli occupatori tedeschi e dallo Stato italiano. Al contrario, i giuliani favorevoli all’Italia considerarono l’occupazione jugoslava come il momento più buio della loro storia, anche perché essa si accompagnò nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano ad un’ondata di violenza che trovò espressione nell’arresto di molte migliaia di persone, – in larga maggioranza italiane, ma anche slovene contrarie al progetto politico comunista jugoslavo –, parte delle quali vennero a più riprese rilasciate; in centinaia di esecuzioni sommarie immediate – le cui vittime vennero in genere gettate nelle “foibe”; nella

deportazione di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso dei trasferimenti, nelle carceri e nei campi di prigionia (fra i quali va ricordato quello di Borovnica), creati in diverse zone della Jugoslavia.

11. Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo Stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione parti da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani.

Naturalmente nei confronti di un documento ufficiale sottoscritto dalle due parti,  e quindi in qualche misura inevitabilmente anche «concordato» politicamente, è sempre possibile avanzare riserve e critiche motivate, ma il giudizio che ricollega le foibe e, più in generale, la repressione comunista “ad un disegno di epurazione preventiva” segnò un passo decisivo in direzione della «riconciliazione» tra Italia e Slovenia e, più in generale, tra italiani e slavi delle terre di confine dell’Adriatico orientale.

Questo percorso ebbe un suggello ufficiale il 20 luglio 2010: a Trieste i presidenti delle repubbliche di Italia, Slovenia e Croazia si recarono, per rendere un omaggio comune, in alcuni luoghi storici  dei conflitti novecenteschi tra opposti nazionalismi: la sede del Narodni Dom e il monumento in ricordo dell’esodo degli italiani dall’Istria, da Fiume e da Zara dopo la seconda guerra mondiale. L’evento si concluse, come è noto, con il concerto per la pace diretto da Riccardo Muti.

È alla luce di questi precedenti che bisogna considerare il significato della cerimonia del 13 luglio di quest’anno e si deve riconoscere che la sua importanza non può essere sottovalutata. Il presidente sloveno è infatti il primo statista della ex Jugoslavia che ha reso omaggio ai morti infoibati di Basovizza. Ciò vuol dire che anche per la Slovenia la repressione anti-italiana promossa dalle forze comuniste di Tito e culminata nella tragedia delle foibe costituisce ormai una verità innegabile. È caduta così una ipoteca ideologica che impediva, in questo caso soprattutto agli sloveni, di fare i conti fino in fondo con il passato comunista jugoslavo, con quel sistema totalitario i cui metodi repressivi provocarono peraltro morti e sofferenze agli stessi sloveni (e ai croati) spesso in misura maggiore di quanto subìto dagli italiani[2].

Da questo punto di vista la cerimonia del 13 luglio può essere considerata come una concreta applicazione della risoluzione approvata il 19 settembre dell’anno scorso dal Parlamento europeo di Strasburgo (535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti) “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, in cui si parla del “riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo” e si ricorda come “i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità[3]. Su questa risoluzione – non a caso silenziata da quegli «europeisti» entusiasti dell’unione economica e sempre pronti ad applaudire le prese di posizione europee in favore del «politicamente corretto» ed anche criticata da alcuni con spocchia intellettualistica pari solo alla pochezza degli argomenti[4] – ci ripromettiamo di tornare sulle pagine di questa Rivista per farne conoscere il testo integrale e analizzarne criticamente i contenuti.

 Le ragioni della politica e le ragioni della storia

Così come per il rapporto finale della Commissione italo-slovena, anche per la cerimonia del 13 luglio è non solo possibile, ma necessario sollevare alcune riserve nel merito. Le decisioni politiche infatti sono inevitabilmente frutto di un compromesso tra sensibilità, motivazioni e interessi divergenti. Le ragioni della politica quindi – anche quando, come in questo caso, sono alla base di una visione politica «alta» e di un evento che ben può definirsi «storico» – non sempre concordano e nemmeno possono concordare con le ragioni della storia.

Comparare gli infoibati ai quattro giovani slavi fucilati a Basovizza nel 1930 è, per esempio, insostenibile. E ciò non soltanto, come è ovvio, a livello quantitativo, ma

anche nel merito. I quattro fucilati erano infatti membri dell’organizzazione nazionalistica TIGR, che rivendicava al Regno dei Serbi Croati e Sloveni, diventato nel 1929 Regno di Jugoslavia, Trieste, Istria, Gorizia e Fiume (da cui l’acronimo TIGR: Trst, Istra, Gorica, Rijeka). L’organizzazione TIGR teorizzava e praticava il terrorismo con azioni, come l’attentato al Faro della Vittoria e al giornale Il popolo di Trieste che provocò un morto e tre feriti, che qualunque Stato sovrano avrebbe cercato di reprimere. Si può discutere naturalmente sul significato di queste azioni, manifestazioni in ogni caso di una ideologia nazionalista più che antifascista, e sulle condanne a morte comminate dal Tribunale Speciale fascista, ma è evidente che tutto questo non può essere paragonato alle repressione indiscriminata, condotta senza processi, senza alcun accertamento di responsabilità individuali e per di più, per quel che riguarda le foibe del 1945, a guerra finita, di cui le foibe sono il tragico emblema.

L’episodio del Narodni Dom andrebbe poi ricostruito tenendo conto anche dello scontro tra nazionalismi contrapposti. L’incendio del 13 luglio 1920 dell’hotel Balkan, dove aveva sede la casa del popolo slovena, avvenne due giorni dopo i gravi incidenti di Spalato, dove erano stati uccisi dai nazionalisti croati due marinai italiani, e dopo scontri cruenti verificatisi nello stesso giorno a Trieste in cui perse la vita anche un ufficiale italiano. Contestualizzare – un invito che spesso è risuonato in questi anni a senso unico ossia solo in relazione alla questione delle foibe – non significa affatto giustificare e nemmeno, in questo caso, minimizzare le responsabilità del fascismo nell’incendio del Narodni Dom, che Mussolini esaltò entusiasticamente come “il capolavoro del fascismo triestino”.

Una nota stonata nella cerimonia del 13 luglio è risuonata dopo il conferimento delle onorificenze a Boris Pahor[5]. Se la dichiarazione dello scrittore sulle vittime del nazifascismo e del comunismo, citata in precedenza, era in sintonia con lo spirito della manifestazione, ben diversamente stanno le cose con quanto, subito dopo, Pahor ha ritenuto di dover dire ai microfoni dell’emittente privata Telequattro: “il presidente ha ricevuto la mia lettera, raccontavo una cosa scabra riguardo il Giorno del Ricordo, 20 febbraio. Un attacco, all’armata jugoslava, che ha fatto gettare nelle foibe non so quanti italiani: è tutta una balla questa, non era vero niente”[6]. Al di là dell’italiano sconnesso, attribuibile probabilmente all’età, perché Pahor conosce benissimo la nostra lingua, al riferimento equivoco al “presidente” (quello italiano o quello sloveno?) e alla data sbagliata del Giorno del Ricordo, l’unica cosa assolutamente chiara è che, secondo il Nostro, le foibe sono “una balla”, dal che consegue che i presidenti italiano e sloveno avrebbero reso omaggio ad un luogo-simbolo inesistente, anzi truffaldino, così come del resto sostenuto dai pochi, ma attivissimi, nostalgici del comunismo jugoslavista. Non a torto il senatore Gasparri ha proposto di togliere allo scrittore l’onorificenza conferitagli, occorre riconoscerlo, incautamente[7].

          A Boris Pahor, vittima di entrambi i totalitarismi del Novecento, ma animato da un insuperato livore anti-italiano di cui la dichiarazione appena menzionata è solo l’ultimo esempio, andrebbe forse sommessamente ricordata la lezione dello scrittore italiano, esule istriano, Fulvio Tomizza, che alle sofferenze patite degli sloveni di Trieste dedicò nel 1986 un dolente romanzo, Gli sposi di via Rossetti, “componendo”, come ha scritto Giovanni Raboni, “i diritti della compassione con le esigenze della verità”.

Per ironia della sorte, è notizia recente, del 24 agosto, la scoperta di una nuova foiba in Slovenia, nella zona del Kočevski Rog, contenente i resti di circa 250 vittime. Lo scavo era stato autorizzato alla fine dello scorso maggio dalla Commissione dello Stato sloveno che si occupa delle uccisioni compiute dai comunisti nel 1945. Gli speleologi “sono scesi nell’abisso 68 volte e hanno effettuato in totale 91 sollevamenti con 137 carichi. Ci sono voluti tre giorni pieni per riportare in superficie tutti i resti umani. […] [O]ltre ai resti, sono stati trovati anche cucchiai, pettini, oggetti personali, specchi, un rosario, immagini sacre e circa 400 bottoni”[8].

La Croazia e la Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari

Un limite oggettivo della cerimonia del 13 luglio è costituito dall’assenza della  Repubblica di Croazia, il terzo protagonista – in quanto Stato successore della dissolta Jugoslavia – del processo di riconciliazione tra italiani e slavi delle terre dell’Adriatico orientale. Va ricordato a tal proposito che la commissione mista italo-croata, costituita nell’ottobre 1993 insieme a quella italo-slovena, a differenza di quest’ultima, non entrò mai in funzione e non produsse quindi alcun documento comune.

Ciò nonostante, dagli anni novanta ad oggi anche nei rapporti con la Croazia sono stati compiuti passi importanti nella direzione del dialogo e del superamento delle barriere tra italiani e croati erette dagli opposti nazionalismi e totalitarismi nel corso del Novecento. Promotrice di questo dialogo con i fiumani italiani rimasti – organizzati nella locale Comunità all’interno dell’Unione Italiana – e con le istituzioni dell’attuale maggioranza croata – innanzi tutto la Municipalità di Fiume-Rijeka – è stata la Società di Studi Fiumani e i risultati ottenuti finora sono stati di indubbio rilievo. Ci limitiamo a ricordare qui i più significativi, a cominciare dalla fondamentale ricerca condotta in comune dalla nostra Società e dall’Istituto Croato per la Storia di Zagabria (Hrvatski Institut za Povijest Zagreb) su Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947) / Žrtve talijanske nacionalnosti u Rijeci i okolici (1939.-1947.). Con questo titolo sono stati pubblicati nel 2002 i risultati della ricerca in un volume di quasi 700 pagine, curato da Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, edito dal Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per gli Archivi nella serie delle “Pubblicazioni degli Archivi di Stato – Sussidi”, e presentato ufficialmente a Zagabria e a Roma. Si tratta di una ricerca esemplare, sia sul piano metodologico sia su quello dei dati raccolti, che andrebbe estesa alle altre zone, dell’Istria e della Dalmazia, investite dalla repressione nazifascista e comunista in particolare negli anni 1943-1947.

Delle numerose iniziative culturali – convegni, premi agli studenti delle scuole italiane di Fiume, incontri, collaborazioni e così via – rivolte direttamente o indirettamente alla città di origine abbiamo dato notizia, nel corso degli anni, nel Notiziario accluso ad ogni numero di questa Rivista. Qui va ricordato almeno l’evento più recente che riveste un’importanza storica nell’evoluzione dei rapporti tra Italia e Croazia: il 5 luglio 2018 sono state esumate le salme del sen. Riccardo Gigante e di altri italiani trucidati dalla polizia politica comunista jugoslava il 3 maggio 1945 a Castua  – tra cui il giornalista Nicola Marzucco, il maresciallo della Guardia di Finanza, Vito Butti[9] e il vicebrigadiere dei carabinieri, Alberto Diana – e gettati in una fossa comune scoperta da Amleto Ballarini con l’aiuto del parroco di Castua don Franjo Jurčević nel vicino bosco della Loza. Si è trattato di un atto di giustizia che ha coronato una lunga e tenace battaglia condotta a partire dagli anni novanta dalla nostra Società, e giunto a buon fine grazie al sostegno di personalità e istituzioni italiane e croate – tra cui il parroco croato di Castua don Franjo Jurčević, il sen. Maurizio Gasparri, il console italiano a Fiume Paolo Palminteri e la Federesuli – e naturalmente grazie alla fondamentale collaborazione tra i Ministeri della Difesa italiano e croato. L’epilogo della vicenda – di cui abbiamo pubblicato un’ampia cronaca nel numero precedente della Rivista – si è consumato il 15 febbraio di quest’anno con una solenne cerimonia al Vittoriale degli Italiani organizzata dal presidente della Fondazione del Vittoriale Giordano Bruno Guerri: la salma di Gigante, insieme ai resti dei suoi compagni, è stata tumulata nell’Arca che attendeva il patriota fiumano predisposta da d’Annunzio.

Un importate tassello nell’opera di recupero della memoria storica devastata dal totalitarismo comunista è costituito infine dalla recente apposizione da parte della Municipalità di Fiume-Rijeka di una serie di tabelle storiche bilingui nella Città Vecchia in cui viene recuperata l’antica odonomastica italiana a partire dal Settecento. Questa operazione è stata realizzata con la cooperazione della locale Comunità degli Italiani e della nostra Società che ha messo a disposizione della Municipalità il fondamentale Stradario di Fiume di Massimo Superina, edito nel 2015 dalla Società di Studi Fiumani – Archivio Museo Storico di Fiume.

Ma c’è di più: la Repubblica di Croazia di recente ha dato concreta applicazione alla risoluzione del Parlamento europeo sui crimini delle dittature naziste e comuniste, ricordata in precedenza. Il 23 agosto – proclamato dal Parlamento di Strasburgo Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari – il presidente del governo croato, Andrej Plenković, ha reso omaggio alle vittime del terribile gulag istituito nel 1949 dal regime comunista di Tito sull’Isola Calva (Goli Otok). Plenković – accompagnato dal vicepremier Tomo Medved e dal ministro Oleg Butković – ha deposto una corona ai piedi della targa commemorativa in ricordo delle vittime ed ha dichiarato: “Oggi siamo qui per rendere onore alle vittime del regime comunista, che è stato uno dei regimi totalitari che hanno caratterizzato il XX secolo, anche in Croazia”.

Il prof. Zvonko Kusić, consigliere speciale del premier, ha sottolineato che “uno dei punti base” dell’attuale governo croato, nonché principio adottato dal Comitato per il confronto col passato istituito dal governo stesso, è che nessun crimine può essere giustificato da altri crimini commessi in precedenza e che “nessun obiettivo politico può giustificare i crimini che sono stati commessi”. Nello stesso giorno si è tenuta un’altra importante cerimonia a Macelj, dove si trovano 130 grotte trasformate in fosse comuni, dalla più grande delle quali sono state esumate 1.250 vittime, fra cui 21 sacerdoti, della repressione comunista. In una di queste grotte nello scorso gennaio sono stati scoperti i resti di 82 persone. Damir Borovčak dell’associazione Macelj 1945 ha ricordato il principio a cui si ispira la sua associazione: “Odio no, vendetta no, vogliamo soltanto che la verità sia resa pubblica”[10]. Queste notizie, naturalmente rese pubbliche dal governo, non hanno però trovato una grande eco nei media croati, per non parlare di quelli europei e italiani, che hanno preferito ignorarle, a conferma del «doppiopesismo» ancora prevalente nella cultura dominante.

Giovanni Stelli

Continua in Rivista FIUME nr. 43/ 2020 numero di ottobre che può essere richiesta a info@fiume-rijeka.it



[1] Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, 25 luglio 2000 (corsivi aggiunti) (https://www.balcanicaucaso.org/ Dossier/Dossier/Commissione-italo-slovena-per-una-storia-condivisa-41189).

[2] Non a caso contro la cerimonia del 13 luglio hanno manifestato alcuni sloveni nostalgici del comunismo, che hanno definito “traditore” il presidente Pahor, e, parallelamente, alcuni estremisti italiani per i quali il “tradimento” era naturalmente quello perpetrato dal governo italiano. La cosa è poco rilevante, perché nostalgici incapaci di arrendersi all’evidenza esisteranno sempre, così come esistono ed esisteranno sempre i terrapiattisti e i complottisti sostenitori del finto sbarco sulla Luna.

[3] Per il testo integrale della risoluzione v. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2019-0097_IT.html (corsivo aggiunto).

[4] Cfr. Dino Cofrancesco, Il martedì di Capaneo – Comunismo equiparato al nazismo: la pugnalata di Strasburgo al doppiopesismo della sinistra, 1 ottobre 2019 (http://www.atlanticoquotidiano.it/rubriche/il-martedi-di-capaneo-comunismo-equiparato-al-nazismo-la-pugnalata-di-strasburgo-al-doppiopesismo-della-sinistra/).

[5] Tra le note stonate va annoverata anche l’apertura dell’edizione del mattino del Gr1 Rai: “Visita in Slovenia [sic] del presidente Mattarella: mano nella mano […]”.

[7] Il 17 luglio l’Anvgd ha diramato un comunicato in cui, dopo aver sottolineato il valore storico della cerimonia del 13 luglio, si avanzano riserve motivate sui medesimi aspetti qui analizzati (http://www.pannunziomagazine.it/il-13-luglio-a-trieste-una-giornata-dai-due-risvolti/ ).

[8] https://triestecafe.it/it/news/cronaca/scoperta-in-slovenia-una-nuova-foiba-con-250-vittime-civili-tutte-giovani-25-agosto-2020.html

[9] La salma di Vito Butti fu l’unica ad essere esumata, clandestinamente, nel luglio 1946, per cui non risulta ovviamente tra quelle recuperate il 5 luglio 2018; v. Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni cit., p. 315 (scheda “Butti Vito”).

[10] V. Moreno Vrancich, Isola Calva. La cultura del ricordo, 23 agosto 2020 (https://lavoce.hr/attualita/ isola-calva-la-cultura-del-ricordo).