Riparte il dialogo tra il governo e gli esuli
TRIESTE – Lo Stato italiano e le sigle degli esuli stanno per riaprire un canale di dialogo ufficiale. È una delle notizie arrivate dal convegno che l’Unione degli Istriani ha organizzato ieri per festeggiare i suoi 60 anni. Una giornata di studi e testimonianze, in apertura della quale la presidente regionale Debora Serracchiani ha annunciato di aver chiesto la riapertura del Tavolo di coordinamento governativo con le associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati presso la presidenza del consiglio. Un tavolo che, tra le altre cose, potrebbe servire anche a risolvere l’annosa quaestio dei soldi di Osimo, dibattuta ormai da lungo tempo nel mondo degli esuli. Parliamo dei novanta milioni di euro stanziati dalla Slovenia su un conto estero in seguito all’accordo di Roma dell’83, in attuazione dell’articolo 4 del trattato di Osimo. Sono i soldi, versati dall’ex repubblica federativa jugoslava come indennizzo per esuli della zona B, che ora l’Italia vorrebbe finalmente incassare. Il tavolo governativo Ma andiamo con ordine. Ieri la presidente ha annunciato di aver chiesto la riapertura del Tavolo, sospeso dai tempi del secondo governo Prodi. Un tavolo la cui agenda non è ancora stabilita, ma il cui scopo sarebbe consentire a governo e associazioni di «riprendere l’esame congiunto delle problematiche aperte e dei possibili progetti futuri».
«La Regione Fvg, che è sorta proprio dall’amputazione postbellica, intende assolvere a questo compito, non solo – ha precisato Serracchiani – in quanto giusto e in linea con leggi dello Stato, ma anche in segno di riconoscenza verso tutti quegli esuli che, perduta la terra natia, qui decisero di fermarsi a ricostruire i loro focolari». Il nodo dei 90 milioni Ai margini della ripresa del dialogo fra Stato e sigle, resta la questione dei fondi. Da qualche tempo, ormai, diversi esponenti della politica locale e nazionale stanno lavorando alla possibilità di sbloccare i fantomatici 90 milioni. Il parlamentare del Pd Ettore Rosato è uno di questi e, anche se preferisce non parlare di tempi, lascia intendere che la possibilità di arrivare a conclusione in un futuro prossimo è concreta: «Quei fondi sono bloccati su un conto estero e non sono mai stati formalmente incassati, per farlo l’Italia deve firmare un accordo». Un accordo che porterebbe a conclusione quanto stabilito da Osimo. Cosa farne? «Dal mio punto di vista – dice Rosato – vanno spesi per interventi significativi, ovvero per valorizzare la memoria dell’esodo a Trieste e non solo: penso ad esempio al museo del Vittoriano a Roma».
Secondo l’esponente del Pd una parte dei fondi andrebbe destinata a «un intervento importante» nel capoluogo regionale: «In ogni caso sono cose che vanno discusse con prudenza e consapevolezza – conclude -. Quei fondi andranno impiegati con grande parsimonia a consapevolezza dell’interesse generale». Punti di vista Il presidente dell’Unione degli Istriani Massimiliano Lacota ha qualche timore: «Sappiamo che a Roma è circolata l’idea di usare quei fondi per costituire una fondazione che, autofinanziandosi, tolga allo Stato l’impiccio di dover assegnare dei fondi ogni tre anni alle associazioni degli esuli». È un’ipotesi di fronte alla quale Lacota non nasconde una netta contrarietà: «Non abbiamo posizioni aprioristiche – dice – e non siamo contrari alla fondazione in sé, però la discussione dovrà partire da un’altra proposta: non possiamo pensare che lo Stato italiano usi i soldi destinati all’indennizzo degli esuli per aggirare il problema di dover finanziare le attività di quegli stessi esuli».
Secondo l’ex parlamentare di Fli Roberto Menia «in linea di principio quei soldi sarebbe meglio non prenderli proprio». Perché «accettando i soldi della Slovenia si acconsentirebbe a chiudere una volta per tutte il contenzioso per l’ipotesi di una parziale restituzione dei beni». Restituzione che invece, secondo Menia, «si potrebbe ancora attuare per i beni rimasti liberi dopo la nazionalizzazione». «Se invece si decide di accettarli – conclude – i possibili utilizzi sono molti e vanno discussi con attenzione».
Giovanni Tomasin, «Il Piccolo», 23/11/14