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Sansego

Sansego, l’isola deserta?

L’isola di Susak [Sansego, ndr] forma, con quelle di Unije, Vele Skarane e Male Skarane la parte più settentrionale dell’arcipelago del Quarnaro. Ha una superficie di circa 3,7km2 ed è, per aspetto e conformazione del suolo, diversa da tutte le altre. Susak è costituita da sette strati di sedimenti sabbiosi, di una profondità totale di 37 metri. Solo un terzo di questi sedimenti ha una composizione che s’avvicina alle pietre della regione.

Secondo Andrija Bognar, geologo, la maggior parte di questi sedimenti sono stati depositati dal Po e da altri fiumi che scendono da Alpi e Appennini per poi accumularsi nel nord-ovest dell’Adriatico. Da là i venti avrebbero portato queste sabbie verso le aree carsiche circa nel 300.000-130.000 a.C. E secondo recenti ricerche i sedimenti più antichi potrebbero datare anche 700.000 anni fa. All’epoca il livello del mare era più basso di un centinaio di metri e tutto lo spazio a nord di una linea ipotetica Zara-San benedetto del Tronto era emerso. Era di fatto un’ampia vallata lungo la quale scorreva il Po e dove vi si gettavano gli affluenti provenienti da nord, est ed ovest. Una regione che, per aspetto e conformazione è simile a quella attuale di Srijem.

Susak, un’isola presto morta?

A Susak siamo stati accolti sulla banchina da una delegazione di insulari: la presidentessa del consiglio municipale, Marija Rudić, in costume tradizionale, l’insegnante Barbara Bušić Ribarić, quattro suoi scolari e qualche altro abitante. Nel lasciare il molo aiutiamo un’anziana signora che spinge una carriola (qui kariola), tra i principali mezzi di trasporto sull’isola.

Su alcune vi è il nome del proprietario e rispettivo indirizzo, una sorta di targa informale. Jakomina Sutora è vedova e vive qui tutto l’anno. I suoi figli sono migrati all’estero. “Se ne sono andati per il vasto mondo, non volevano continuare a fare il mulo come me”, spiega lei come per scusarsi. “Vado per Natale un po’ a Strasburgo ma è a Susak che mi sento meglio. Vedi, è così calmo qui adesso”.

La vita sull’isola però è molto lontana dall’essere idilliaca. “La mia casa si è allagata due volte a causa delle canalizzazioni municipali fatte male. Ho dovuto occuparmene tutta da sola, una notte. Ho aperto la porta d’ingresso affinché l’acqua uscisse in giardino, che potevo fare d’altro? Potrei smettere di pagare le tasse… Ecco, qui, è la casa più bella di Susak. L’ho messa a disposizione di Kozulić affinché ci faccia il suo vino, venite a gustare”. Jakomina Sutora è una dei 120 abitanti dell’isola.

Come la maggior parte delle campagne e delle isole croate, Susak sta lentamente morendo. Tra una o due generazioni qui non vivrà più nessuno. Al suo apogeo, nel 1936, aveva secondo Anton Turčić, prete locale, 1656 abitanti e una grande scuola. Gli isolani coltivavano 1,8 milioni di vigne e l’isola, dal 1940, era sede di una fabbrica di lavorazione del pescato.

Una comunità isolata

Ciononostante, anche durante la sua “grandeur”, Susak è sempre stata isolata dal mondo dalla geografia e dalla storia. L’isola si è da tempo rinchiusa su se stessa e vi abita una comunità molto particolare. La lingua parlata qui mescola vecchie espressioni croate con le lingue dei popoli che vi sono passati. L’isolamento ha portato la gente a sposarsi tra loro e questo ha causato una certa frequenza di malattie legate alla consanguineità.

La comunità di residenti è bruscamente diminuita con la chiusura della fabbrica di trasformazione del pesce, negli anni ’60. “600 persone se ne sono andate in un anno e altre 600 l’anno successivo, Susak ne è stata letteralmente devastata”, racconta Julijano Sokolić, storico di Mali Lošinj. Molti salpavano di notte, per raggiungere clandestinamente la costa italiana da dove poi emigravano negli Stati Uniti, in particolare nella città di Hoboken, nel New Jersey. Secondo il giornalista Borislav Ostojić, vi sarebbero negli Stati Uniti venti volte più persone originarie di Susak che non quelle che risiedono attualmente sull’isola.

Uno di questi “americani”, Antun Picinić, è attualmente in soggiorno sull’isola “per tre settimane e mezzo”. “Sono venuto per fare qualche lavoro di riparazione della casa e per pagare delle bollette”, spiega. Antun Picinić è partito a 15 anni, nell’ottobre del 1967. Dopo 9 mesi in un campo di transito in Italia è riuscito a raggiungere gli Stati Uniti. “Non so cosa accadrà, ma mi piacerebbe tornare a vivere qui finché sono ancora in grado”, spiega.

Antun Picinić ha cinque figli e Marija, sua moglie, lavora ancora. Lei ha lasciato Susak a 9 anni. “Mia madre e mio padre sono morti, ma ovunque io cammini, qui, sento che sono presenti. Hanno vissuto a lungo qui. E’ così sereno qui”, sospira lei. “E’ veramente bello”. Durante l’estate il paese è pieno da scoppiare, racconta Antun, e viene organizzata una grande festa, la “festa degli emigrati”.

Poco più distante “Tata Lady”, che vive anche lei qui tutto l’anno, è la sola ad indossare il costume tradizionale nero, spiega Marija Rudić. Qualche passo ancora e Antun indica una grande casa: “Era la mia scuola”. Nella scuola sta per iniziare uno spettacolo, si celebra l’anniversario di una monografia titolata L’isola di Susak, opera realizzata nel 1957 sotto la direzione di Mijo Mirković.

Nella classe scolastica decorata per l’occasione gli scolari intonano una canzone, l’inno di Susak, Sansego gradiću  .

Il Grande Gabbiano, Pisellino e Autostrada

Gli abitanti di Susak, spiega Julijano Sokolić, presidente di un’associazione culturale di Cres-Lošinj, hanno l’abitudine di utilizzare dei soprannomi dato che sull’isola vi sono pochi cognomi, un’abitudine che estendono a chi viene a far loro visita.

Così, quando è arrivato Tito, dopo la guerra, con la sua uniforme bianca, l’hanno subito soprannominato il Grande Gabbiano. Borislav Ostojić, giornalista in pensione di Fiume viene a Susak sin dal 1973. Conferma che all’epoca vi erano due preti, il più alto tra i due era soprannominato “Autostrada”, il più piccolo e paffuto “Pisellino”.

Importanti ricerche su Susak sono state condotte dall’istituto di antropologia di Zagabria. Jelena Šarac, antropologa, ha recentemente pubblicato un articolo che riassume le nuove scoperte fatte attraverso l’analisi del DNA mitocondriale. Effettuate su 64 persone, il 42% della popolazione attuale dell’isola, confermano la scarsa varietà genetica degli abitanti di Susak. Sono stati rilevati solo tre diversi aplogruppi, la più bassa diversità genetica mai rilevata in Croazia. Niente di cui stupirsi spiega Jelena Šarac, dato l’isolamento di Susak.

Una monografia del 1957 rilevava già un forte tasso di consanguineità, 1400 persone condividevano una decina di cognomi, tra cui due erano dominanti. Il 95% degli isolani erano di gruppo sanguigno A o O. Studi hanno dimostrato l’esistenza a Susak di patologie molto specifiche: disabilità mentali, difficoltà d’apprendimento e problemi psichiatrici. Un altro studio, del 2009, ha poi rilevato che un’epidemia aveva devastato le isole croate, nel 1450, in particolare Susak e Rab e che il tasso di mortalità, allora, fu del 70%.

L’inverno sull’isola

Come si vive a Susak? Abbandonati dalle istituzioni gli abitanti stringono la cinghia. In autunno il “Café Barbara” di Gornje Selo e l’”Ankora” di Donje Selo chiudono, così come il panificio “Sveta Katarina”. La vita sociale si riduce alla frequentazione dell’ex Centro culturale, oggi “Centro degli emigrati”.

Hajdi era infermiera presso l’Ospedale pediatrico di Zagabria. Ora è in pensione e vive a Susak da dieci anni. Tiene aperto, due ore al giorno, un piccolo ambulatorio medico, fornisce le prime cure e chiama, se necessario, l’intervento d’urgenza di Mali Lošinj, pregando ogni volta che il mare non sia in burrasca. “L’assistenza medica è davvero al minimo – spiega – non c’è da stupirsi se molti decidono di andarsene per vivere in luoghi più sicuri”.

L’unico negozio dell’isola, “Jadranka”, ha chiuso da molti anni. Le autorità dicono di aver presente la questione ma per l’ex proprietario è solo tutta ipocrisia: non hanno mai risposto alle sue richieste d’aiuto. All’inizio degli anni ’90 Julijano Sokolić aveva messo per iscritto varie proposte per rivitalizzare l’isola: da allora si è costruita una cisterna da 3000 m3 che permette di avere acqua potabile per tutta l’estate. E’ inoltre in costruzione un nuovo molo, per permettere di attraccare ai traghetti, si sta anche lavorando alle fognature e si sta ripavimentando la via principale. Sono state piantate nuove vigne e molte case sono state ristrutturate. Le cose migliorano lentamente, ma migliorano, afferma Julijano.

Julijano Sokolić rimane però pessimista sul futuro dell’isola. “Ero ottimista negli anni ’90, ma temo oggi che le piccole isole siano destinate a morire”, spiega. Marija Rudić è ritornata sull’isola dopo aver vissuto negli Stati Uniti ed è ora presidentessa del consiglio municipale. Fa del suo meglio, ma ammette di non trovare molto sostegno tra la popolazione locale. “Tutti quelli che fanno qualcosa per Susak arrivano con la barca”, afferma.

Per svilupparsi Susak potrebbe attirare turisti ma per il momento non è abbastanza valorizzata. La più piccola tra le Baleari, Formentera, accoglie da sola 20.000 visitatori all’anno.

“Tra i croati Susak evoca solo consanguineità. E questo è desolante perché è un’isola magnifica, con una storia interessante ma che rischia di sprofondare nell’oblio. I costumi tradizionali rischiano di sparire, così come gli ultimi 150 abitanti”, afferma Jelena Šarac. “Occorre fare degli sforzi per proteggere le tradizioni isolane e occorre riuscire a spiegare l’importanza di queste comunità per la scienza ed il patrimonio culturale della Croazia”, aggiunge. Dalla barca che ci riporta sul continente Susak sparisce presto tra i raggi del sole che tramonta. Un crepuscolo nel quale persevera il suo isolamento e l’indifferenza delle autorità.

29/11/2017 –  Ivo Lučić

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa