Sant’Eufemia e la scuola di Padova
L’importanza della martire di Calcedonia per la città di Rovigno è testimoniata nella splendida opera del Duomo, come pure nel campanile in cima al quale si erge la sua scultura
Nei giorni che precedono il 16 settembre in tutta Rovigno fervono i preparativi per la festa di Santa Eufemia. Ce lo ricordano cantici e poesie. In ruigniso (rovignese): “Sant’Ufiemia, nostra santa Douti insieme la na guanta La nu priga, na la canta; ma l’oo’ fuorsa douta Quanta! Ruvigisa lasa vanta, Cun san Giorgio nostra santa”. L’importanza della martire Eufemia per la città e tutta la cristianità è testimoniata nella splendida opera del Duomo, nel campanile con la scultura della santa, che si intravede dai lontani colli dell’Istria interna, come pure nei monumenti e oggetti d’arte diffusi da Roma a Costantinopoli, sulla costa dalmata e particolarmente in Istria.
Nacque e morì in Calcedonia (inizio IV sec. d.C.), in Asia Minore, mentre il suo corpo fu trasferito a Costantinopoli durante le guerre con i persiani all’inizio del settimo secolo. Ancora prima di essere rinvenuta miracolosamente nel sarcofago a Rovigno nell’anno 800, durante il concilio di Calcedonia (451, esattamente 1470 anni fa) sopra le sue mani venne scelto il Credo che si prega ancora oggi durante le Sante messe. Il suo culto viene celebrato nel calendario cattolico il 16 settembre, mentre i cristiani ortodossi la ricordano l’11 luglio. Fu la prima Santa dell’epoca paleocristiana alla quale fu dedicato un ciclo di affreschi già nel IV secolo nel martirium di Cappadocia.
Affreschi, salmi e cantici
Ricordiamo i salmi e i cantici risalenti all’VIII secolo a Costantinopoli, mentre ancora oggi sono visibili gli affreschi nella chiesa della capitale d’oriente nello strato archeologico della originale pianta centrale. È un motivo d’orgoglio per l’Istria e Rovigno poter custodire il miracoloso corpo della Santa. Ce lo ricordano numerose opere d’arte, mosaici, chiese paleocristiane, affreschi istriani dove la Santa prevale nelle immagini sacre femminili, dopo la Madonna. È anche questa una particolarità istriana di devozione alla Santa dalla metà del VI secolo, nel mosaico del arco trionfale giustinianeo a Parenzo, agli affreschi, sculture, chiese e pitture medievali che rivolgono lo sguardo dei fedeli verso Rovigno nel corso dei secoli, dal territorio circostante verso la cima della città, ornata da splendidi opere a lei dedicate.
La scultura
Abbiamo accennato alla chiesa e al campanile, con gli ultimi ritocchi del celebre architteto rovignese Simon Battistella, che con pochi aiutanti e una carrucola posizionò la scultura di Sant’Eufemia sul campanile. Ma sarebbe giusto elencare anche le altre numerose opere che la ritraggono. Quelle studiate, ma anche qualcuna dimenticata, come il dipinto sopra il sarcofago paleocristiano (IV sec.) dalla struttura tipica dell’area altoadriatica, che ha fatto molto riflettere gli scienziati. Ci sono poi gli ori, gli argenti, gli ex voto, i paramenti sacri, l’arredamento liturgico… ma questa volta ci dedicheremo a una scultura che non per caso si trova davanti l’arca della Santa. Si tratta della scultura in pietra di Nanto (Vicenza) che nella “Venetia et Histria” veniva utilizzata già dall’epoca romana, particolarmente per la scultura nel Rinascimento, come ce lo ricorda Palladio. Originariamente fu dipinta in tempera con più strati di colore, soprattutto i leoni e la ruota. Questa importante scultura non si trova per caso dinanzi al sarcofago della Santa, impostata in modo classico, con un ricco drappeggio, un gesto elegante, un’eccellente modellazione delle mani e delle dita, il volto con lo sguardo rivolto verso l’infinito, maestralmente dipinto con delicate sfumature di tempera. L’avevo fatto notare nel mio saggio dell’anno scorso scritto per “La Ricerca” del Centro di ricerche storiche di Rovigno.
L’immagine centrale della Santa
È chiaro che questa scultura della Santa ha rappresentato per secoli l’immagine centrale di Sant’Eufemia. Ce lo dimostrano la sua qualità artistica, l’espressione squarcionesca, ma ancora più precisamente la forma innovativa, caratteristica per il primo Rinascimento. È davvero dettagliata anche l’esecuzione del modello della città che, tra l’altro, ci ricorda l’aspetto dell’antica chiesa e del campanile di Rovigno. La Sant’Eufemia triabsidale (ottoniana) e il campanile tardomedievale che ricorda strutture analoghe in Istria, come pure il vecchio campanile in piazza San Marco a Venezia, che precedeva l’attuale, crollato e ricostruito nel 1902.
Concepita nel ruolo di protettrice, per me, da quando negli anni Ottanta del secolo scorso la vidi per la prima volta, simbolizzò un’alta espressione di qualità attribuibile non soltanto alla bottega o alla scuola padovana, ma innanzitutto al celebre Andrea Mantegna, pittore ma anche scultore e pure architetto la cui casa fu visitata a suo tempo anche da Leonardo, che volle conoscerla pure per la ricca collezione archeologica.
La scuola patavina
Il drappeggio della scultura di Rovigno ricorda non soltanto la scuola patavina (che di rado usava la pietra di Nanto della vicina Vicenza), nella quale la scultura veniva insegnata da Donatello, ma soprattutto i primi anni della pittura di Mantegna. La forma che scende centralmente sull’abito della Santa è quasi una firma mantegnesca giovanile presente nelle maggiori opere dalla Pinacoteca di Brera alla National Gallery di Londra, e altre opere giovanili custodite in Germania. Ma non è tutto. L’espressività mantegnesca generale si potrebbe immaginare come un marchio d’autore, probabilmente realizzato da uno scultore secondo il modello o i modelli del Mantegna se non fosse per il volto, delicatamente dipinto, che corrisponde perfettamente allo stile del Mantegna quando nel 1453 sposò a Venezia Nicolosia Bellini, della celebre famiglia di artisti attivi a Padova. La composizione della famiglia (più tardi citata dal cognato Giovanni Bellini) risale a quegli anni, ma l’espressione viene riportata anche nel volto di Santa Eufemia di Capodimonte a Napoli.
Un’unica serie di opere
Inizialmente pensata per la cattedrale di Irsina, nel broccato riporta esattamente gli stessi motivi. La conferma che si tratti di un’unica serie di opere viene confermata da uno scritto cinquecentesco sulla vita di Sant’Eufemia, che descrive come un sacerdote patavino (parroco di San Daniele, originario da Irsina) ottenne parte delle reliquie della Santa e commissionò opere per Irsina, tra cui la citata opera dipinta e firmata nel 1454. Sembra dunque più chiaro perché questa scultura del Mantegna, sicuramente da lui ideata e dipinta, si trovi a Rovigno. Non soltanto il volto di Capodimonte, ma specialmente l’autoritratto del giovane Mantegna e di Nicolosia sono serviti da modelli per il volto della scultura rovignese. Era questo il periodo in cui il giovane maestro, appena maggiorenne, raccolse le forze per fare causa al capobottega, vincendo (a diffrenza di altri maestri come Ciulinovich) e ottenedo il recupero del denaro che Squarcione aveva preso per i lavori del Mantegna.
È emozionante cogliere nella scultura di Sant’Eufemia a Rovigno il momento o periodo dello sviluppo del percorso artistico di Andrea Mantegna, la scelta più difficile nella vita di ogni artista. Dando alla Santa il propio volto, Mantegna manifestò l’importanza della libertà nella creazione artistica proprio nel periodo in cui realizzò le opere legate a Sant’Eufemia, che a quel punto si trovava nuovamente a Rovigno da cinquant’anni (ovvero, dal 1401), dopo esser stata preda dei genovesi.
Marino Baldini – 15/09/2021
Fonte: La Voce del Popolo