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Sos dal mondo degli esuli: I nostri giornali muoiono

Bloccati i rimborsi statali alle associazioni: dalla “Voce di Fiume” al “Dalmata”. C’è chi dirada le pubblicazioni, chi passa al solo digitale e chi ha già chiuso i battenti.

L’allarme delle associazioni della diaspora istriano-fiumano-dalmata è di quelli da ultima spiaggia: i principali organi di informazione degli esuli stanno per chiudere i battenti e anche molte organizzazioni sono in affanno. Colpa dei mancati trasferimenti statali dal 2010 in poi.

Il grido d’aiuto dei periodici arriva in simultanea tra fine dicembre e inizio anno. Nel primo numero 2017 dell’Arena di Pola, il direttore Paolo Radivo apre ad esempio la prima pagina con un appello tra il furibondo e il disperato: «Le associazioni non hanno ancora percepito dallo Stato i saldi dei contributi per i progetti 2012 ai sensi della legge statale. Alcune attendono perfino dal 2009».

Davanti alle difficoltà finanziarie degli enti dei profughi, i primi a essere sacrificati sono i pochi fogli rimasti a tenere in vita la memoria dell’esodo. Alcuni chiusi, altri ridotti alla sola edizione digitale ma destinati a sparire perché il danaro non basta nemmeno a pagare figure di direttori che sono ormai di fatto i factotum volontari delle rispettive testate. Non tocca solo all’Arena, quotidiano creato nel luglio 1945 per orientare i polesani nel corso della contesa territoriale fra Italia e Jugoslavia. Il cielo è scuro anche per La Nuova Voce Giuliana (Associazione delle comunità istriane), per la Voce di Fiume (Libero Comune di Fiume in esilio) e per Il Dalmata, fondato a Zara nel 1866, soppresso dall’Austria nel 1916 e «rifondato dagli Esuli per dare voce ai Dalmati dispersi nel mondo».

Il nodo sta nel blocco dei rimborsi previsti dalla legge del 2001, con cui il governo dovrebbe sostenere i progetti culturali dell’associazionismo dell’esodo, fra cui rientra appunto anche la pubblicazione dei giornali. Nei primi anni tutto è filato liscio a parte qualche fisiologico ritardo sui rimborsi dei progetti approvati, ma dal 2010 sono iniziati i guai. Da una parte, la stretta sulla spesa statale e regole di rendicontazione sempre più stringenti; dall’altra associazioni e comitati abituati a presentare spesso progetti alla buona e rendiconti spesso incompleti o poco trasparenti a giustificazione delle spese sostenute. A peggiorare le cose, l’avvicendarsi di diversi funzionari statali delegati all’applicazione della legge e un’attenzione giunta ai limiti della diffidenza, con continue richieste di documentazione aggiuntiva: in alcuni casi anche per pratiche già approvate, ma le cui pezze d’appoggio risultavano incomplete dopo il cambio in corsa dei regolamenti. L’esito è stato quello di bloccare l’iter di tutti rimborsi e non solo per le realtà in difetto. Le associazioni che fanno riferimento alla legge 72/2001 aspettano dunque ancora l’erogazione di almeno una parte dei fondi 2009-2012, pari a 1,4 milioni.

Federesuli, cui è affidato il coordinamento delle principali organizzazioni degli esuli, garantisce che da settembre le risorse sono state finalmente messe a disposizione sul conto della Banca d’Italia, ma nulla si muove nonostante le ripetute rassicurazioni dei ministeri interessati. Federesuli è a sua volta considerata poco credibile da diversi esponenti del mondo istriano-dalmata, per non aver vigilato sul rispetto delle regole da parte delle associazioni in difetto e per non aver preteso dal governo che quelle in regola venissero liquidate nei tempi. Così, dopo anni di vacche grasse, l’associazionismo conta ormai su bilanci risicati: ridotti i finanziamenti pubblici attratti per decenni, in fisiologica diminuzione gli anziani associati, le quote di iscrizione e le elargizioni.

A risentirne sono ora i giornali: La Voce di Fiume ha già chiuso, L’Arena di Pola e il Dalmata sono diffusi da mesi solo in versione digitale, La Nuova Voce Giuliana sta per passare da quindicinale a mensile. La questione appare grottesca davanti alla constatazione che nel frattempo i ministeri competenti e Federesuli hanno rinnovato la convenzione per i fondi relativi al triennio 2016-2018, con uno stanziamento da 2,4 milioni: ma intanto i sodalizi ancora aspettano i fondi 2012 e da quel momento in poi non hanno nemmeno ottenuto la valutazione dei progetti presentati in seguito, tanto che dal 2014 hanno smesso direttamente di inviarli agli organi competenti, in attesa di capire come verrà sciolto l’intrico.

La questione è sul tavolo di Ilaria Ivaldi, direttrice del Segretariato regionale del Mibact del Fvg, che da inizio gennaio ha assunto anche l’incarico di nuova funzionaria delegata all’applicazione della legge. Ivaldi è solo l’ultima di una serie di funzionari del Mibact incaricati di applicare il regolamento e dare l’ok ai rimborsi: responsabilità assunta tuttavia senza retribuzioni aggiuntive, esposta al parere della Corte dei conti e perciò rimpallatasi negli anni fra dirigenti dell’Archivio di Stato di Trieste, del Fondo Trieste, delle Sovrintendenza di Trieste e di Udine.

Il Piccolo, 15 gennaio 2017