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November 21st, 2024
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Lapide Bologna

Treno della vergogna: le testimonianze degli esuli

“Il treno procedeva lento. Partimmo da Fiume, destinazione Toscana. Dovevamo attraversare l’Italia, che noi immaginavamo generosa ed ospitale. Sulle carrozze da carro bestiame che ci portavano laggiù, c’erano per lo più vecchi, donne e bambini come me, stipati come sardine. Eravamo infreddoliti e affamati. I più piccoli piangevano perché mancava il latte. Va bene – pensai – prima o poi ci fermeremo.

La prima sosta, per scendere a sgranchirci le gambe e per mangiare qualcosa, fu a Bologna. Finalmente la stazione. Il treno rallentò piano piano fino a fermarsi. Ad accoglierci trovammo tanta gente con le bandiere rosse. Le stesse di Tito. Non capivo. Allora mi girai verso la mamma e le chiesi: Mamma, ma il treno si è sbagliato? Siamo tornati a Fiume?.

No. Erano gli operai e i ferrovieri comunisti che improvvisavano uno sciopero per impedire al convoglio di fermarsi nella loro città. Fascisti, viaaaa! gridavano. Siete tutti criminali fascisti!

La nostra patria era affamata, diffidente. Diversi erano convinti che chi fuggiva dall’Istriarossa, dal paradiso del comunismo, fosse un criminale. Alle dame di carità, arrivate in stazione per darci il latte, fu impedito di avvicinarsi. Nemmeno il latte ai bambini. Le porte del treno rimasero chiuse”. Così Jan Barnas e Simone Cristicchi, nel loro “Magazzino 18”, hanno descritto quanto accadde a Bologna il 18 febbraio 1947. E lo hanno fatto tratteggiando la scena in maniera estremamente realistica.

“Quello che dicono è tutto corrispondente alla realtà” ha detto infatti, parlando con Elio Varutti di Friuli on line la signora Luciana Luciani, polesana, classe 1936. Che ha anche raccontato: “sono venuta via da Pola il 16 febbraio 1947, con il penultimo trasbordo del piroscafo Toscana” perché “c’era tanta tensione, la paura delle foibe…e mia mamma, nata a Rovigno, diceva: mangerò una volta sola al giorno, ma vado in Italia”. Ed ancora: “quando siamo arrivati ad Ancona siamo stati subito caricati sul treno per Parma e La Spezia”. Il treno della Vergogna. “Non capivamo come mai si stava tanto fermi dentro quel treno” ha detto ancora la signora Luciani a Elio Varutti. Che nel suo articolo scrive poi: “qualcuno su quel treno ebbe la fortuna di viaggiare nei vagoni passeggeri, quelli con i sedili di legno, come ricorda la signora Luciani. Ad altri profughi, spediti da Udine a Trapani, toccò addirittura il carro merci scoperto. E se pioveva?” ha chiesto Varutti a Savina Fabiani, un’altra esule. “Abbiamo aperto gli ombrelli. Ma i miei genitori erano contenti, perché eravamo salvi”.

Fonte: Il Giornale d’Italia