Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata
July 16th, 2024
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Popolo

Un popolo con il mare dentro

IRCI: tavola rotonda propedeutica ad un percorso espositivo e museale

Civiltà contadina, civiltà del mare, due momenti che da sempre hanno caratterizzato la realtà istriana – e in modo diverso quella fiumana e dalmata –, ma che spesso emergono in modo disarmonico dal calderone delle considerazioni. Necessario un riequilibrio che vede impegnati l’IRCI e il Circolo “Istria” nella creazione di un percorso espositivo e museale di cui è stato offerto un primo assaggio alla tavola rotonda di lunedì sera a Trieste, nella sala Alida Valli di via Torino, presenti i relatori che hanno sfidato neve e ghiaccio per ritrovarsi a ragionare insieme.
L’IRCI, ha preannunciato la presidente Chiara Vigini, intende mettere a disposizione gli spazi prima dell’avvio dei lavori di ripavimentazione delle sale. Ma fino ad allora ci saranno dei mesi per focalizzare gli ambiti da sviluppare nel tempo. Nello spazio antistante la sala dell’incontro è stata allestita una piccola mostra di reperti che andranno studiati ed implementati. E di materiale – almeno da quanto esposto dai relatori – ce n’è in abbondanza. Di che cosa si tratta? Lo introduce il presidente del Circolo “Istria”, Livio Dorigo, dichiarandosi soddisfatto di poter collaborare con l’IRCI per la conoscenza della storia dell’Istria. Perché il mare? Perché è emozione, ispirazione, commercio, storia e senso d’appartenenza. Per far capire “a noi stessi e agli altri” – dice Dorigo – che l’Adriatico è centro d’Europa, per la sua funzione di raccolta, sviluppo economico, per tutto ciò che è a destra e a sinistra rispetto alla sua posizione. Nel momento in cui l’Unione Europea s’allarga anche alla Croazia, “abbiamo il compito importante di restituire a Trieste il suo territorio di riferimento”. Attraverso una rete di rapporti economici, ma anche attraverso una pacata crociata di di revisionismo storico. L’Istria è stata considerata figlia di Venezia, ma secondo Dorigo si tratta di un concetto restrittivo.
Per Walter Makovaz, l’Istria è un’isola culturale. Anche se solo in epoca moderna si ha un concetto unitario della regione. Ecco perché ha intitolato il suo intervento “Castellieri e approdi”. Per significare l’unicità dei rispettivi luoghi che si gestivano, da sempre, in grande autonomia, come mondi a sé stanti. In effetti sono realtà che si sono compenetrate, anche se marginalmente. L’andare a piedi determinava uno spostamento limitato di culture e intelligenze. Ma alcune riprove di questi contatti ci sono. Cita a esempio la parola meda, covone in termini agricoli, ma anche punto cospicuo in quelli marinari. Il profilo delle colline è una scelta obbligata nei portolani per accompagnare la navigazione. Ecco che i castellieri, costruiti sulle vette, diventano punti cospicui per chi va per mare, saldando un rapporto che diventa una chiave di lettura della realtà istriana. Altro punto cospicuo per le genti di mare e di terra sono i santuari mariani, di cui si è occupato David Di Paoli Paulovich. La devozione a Maria risale al primo arcivescovo di Salona e lo sviluppo dei santuari lungo la costa non è mai venuto meno: li ritroviamo a Muggia, Semedella, Isola, Strugnano (dove la Madonna sarebbe apparsa nel 1500, rivolgendosi ai fedeli in piranese: “Fioli non scampete, dixeghe al pievan de conzarla la glesia, altrimenti…”) e poi giù lungo tutta la costa.
Si naviga, si prega, ma soprattutto si pesca in modo individuale – spiega Nicola Bettoso. L’attività economica legata al mare nasce solo nel 1880, parallelamente si sviluppa la biologia marina. Quattro anni dopo si costituiscono otto dipartimenti da porto Buso fino a Cattaro e inizia l’acquacoltura. Solo a Fiume, per la presenza del porto ungherese, viene riservato un trattamento a parte. Che cosa si pescava? La sardina – spiega il biologo – costituiva il 25 per cento di tutta la produzione austro-ungarica, con l’uso di una barca detta Luminiera. A prua, per concentrare il pesce si accendeva un falò nel braciere e si cercava di convogliare il pesce a riva per la raccolta. La tecnica è ancor oggi in uso nelle valli marine e viene detta tratta.
Tra le tante dimensioni del rapporto Istria-Venezia, la vicenda delle Saline è emblematica e si continua a studiare, ha testimoniato Kristjan Knez. Quelle di Pirano sono le uniche a non avere mai interrotto la propria attività permettendo, attraverso la vicenda del sale, di scrivere la storia civile, culturale e politica di un territorio. Negli anni Trenta del Novecento sono state dismesse quelle di Capodistria con lavori di ingegneria idraulica, le ultime a chiudere i battenti sono state quello di S. Lucia negli anni Sessanta. Pirano è cresciuta sul sale, detto anche oro bianco. La famiglia Grisoni di Capodistria, ad esempio, possedeva 450 bacini, una ricchezzachesitramandava,sidava in dote, spesso ne erano proprietari ordini religiosi. Una mostra dovrà raccontare tutti questi particolari, andare alla ricerca dei segni ancora presenti sul territorio di cui spesso non si ha coscienza e che invece rappresentano il contatto diretto con la storia. Venezia nel ‘400 aveva un “pil” superiore a quello della Francia e dell’Inghilterra, alle quali prestava soldi. Ad affermarlo è Giuliano Orel, che alla tavola rotonda ha voluto segnalare l’importanza delle ricerche sui grandi personaggi del territorio, che in una mostra-museo non possono mancare, anche perché non c’è nel Mediterraneo un territorio che come l’Istria abbia dato tanto impulso alla ricerca sul mare. Tre gli autori citati: Vattova, Parenzan, D’Ancona. Il primo era capodistriano, rampollo di una stirpe di umanisti, aveva un sapere universale che espresse in numerosi volumi (uno anche dedicato ai proverbi istriani che si riferiscono al mare). Lavorò all’istituto di biologia marina di Rovigno, studiando chimica e fisica delle acque marine e lagunari. Ricerche raccolte in libri ancora da studiare, sono 200 le pubblicazioni scientifiche che portano il suo nome. La sua biblioteca ceduta dalla Jugoslavia all’Italia è andata miseramente distrutta.
Il secondo personaggio, Pietro Parenzan, era di Pola. Laureato a Torino, lavorò per il Regio comitato talassografico italiano. Finì la carriera a Taranto, dove riuscì a fondare un istituto di biologia marina. Ed infine D’Ancona, nato a Fiume, iniziò gli studi a Budapest, combatté sul Carso e solo dopo finì gli studi a Roma, presso la cattedra di zoologia con Grassi, Siena e Padova. Embriologia, zoologia comparata sono le sue specializzazioni.
Dai personaggi alla pietra, nell’intervento di Stefano Pullani; dal punto di vista geologico siamo di fronte ad una storia di centocinquanta milioni di anni. Dal giurassico in poi l’Istria è un documento aperto e la sua storia è una storia marina, di rocce formatesi in una specie di barriera corallina con organismi che non esistono più. Ce ne parlano le orme dei dinosauri. Poi L’Istria emerge con tutti i fenomeni di erosione e carsismo che conosciamo. L’anno scorso per osservare questo tratto, Pullani ha fatto il giro dell’Istria a nuoto con un barchino. Dai tempi di Roma l’abbassamento ha creato realtà sommerse. Si tratta di ricerche che si collegano ad altre condotte nel 1850, con la prima carta geologica dell’Istria, con lavori particolarmente interessanti, di D’Ambrosi, Domenico Lovisato.
Antonio Tommasi, presidente della Società sportiva “Pietas Julia” di Monfalcone, ha espresso l’auspicio che il progetto di una mostra permanente possa colmare un vuoto grave. Nel panorama locale, sia a Trieste che in Istria, ci sono interessanti musei che riguardano la navigazione e il mare, ma nulla sullo sport del mare, che tanto ha dato a queste terre, in modo particolare per l’impatto sullo sviluppo sociale in Istria. Lo sport nautico prende piede nella seconda metà dell’Ottocento, con la nascita dell’associazionismo con lo scopo di promuovere la cultura del fisico nel suo aspetto salutistico. Succede che attività sportive che fino ad allora erano state appannaggio delle classi altolocate diventino popolari, al seviziò della piccola borghesia e gente comune. Nascono anche società operaie di canottaggio e, visto il periodo storico, assumono anche un ruolo di aggregazione politica, diventano centri d’irredentismo.
C’è tutto: sport, grandi personaggi, storia e cultura per un respiro ampio che il mare riesce a restituire sempre. Non rimane che attendere che tanto sapere trovi sistemazione in uno spazio accessibile a tutti.
Rosanna Turcinovich Giuricin

L’Osservatore Adriatico