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Francesco Patrizi

Professione: letterato, artista, critico, storico, scienzato,filosofo
Luogo: Fiume e Quarnero
Autore: Autore Sconosciuto

Francesco Patrizi o de Pretis, nacque a Cherso nel 1529. Dopo aver studiato nella sua città natale con Petruccio da Bologna, percorse gli studi universitari a Padova, e fra gli studenti fu presidente della Congrega dei Dalmati. Non tardò a farsi notare e a Padova ed a Venezia dove nel 1553 pubblicò una raccolta di studi: Città felice; Dialogo dell'Honore; Il Bargnani; Discorso sulla diversità dei furori poetici; Lettere sopra un sonetto di Petrarca. Tornò a Cherso e, dopo poco, ripartì per Venezia e Ferrara. Divenne amico di Alfonso d'Este, di Scipione Gonzaga, di Agostino Valerio, di Girolamo della Rovere, del cardinale Ippolito Aldobrandini, e di altre eminenti personalità. Viaggiò molto. Percorse l'Italia e la Spagna. Si recò alcune volte in Oriente e, nel 1571, si trovava a Cipro quando la città dovette soccombere all'assalto dei Turchi. Nel 1578 venne chiamato all'Università di Ferrara, incarico che ricoprì sino al 1592, quando il cardinale Aldobrandini lo invitò a trasferirsi a Roma per assumere la cattedra di filosofia alla "Sapienza". Il cardinale, una volta divenuto Papa con il nome di Clemente VIII, continuò sempre ad onorarlo. Patrizi morì a Roma nel 1597, e venne sepolto a Sant'Onofrio nella stessa tomba del Tasso. Patrizi fu una delle figure più significative dell'Italia intellettuale del XVI secolo, una delle menti più vaste e più dotte che l'abbiano onorata. Egli estese i propri interessi in tutti i campi della conoscenza e volle fare della filosofia la sintesi del sapere. La sua opera, amplissima, abbraccia la letteratura, l'arte, la critica, la storia, la scienza, l'arte militare, la filosofia. Fu anche poeta, ma non ebbe molto successo. Volendo innovare anche in questo campo, nel 1558 pubblicò un poema, Eridano, scritto in nuovi versi "eroici" di tredici sillabe. Nel 1560 apparvero i dieci suoi dialoghi su Della Historia, e nel 1562 altri dieci su Della Retorica. Poi si applicò alla filosofia, pubblicando nel 1581 le Discussioni peripatetiche. Due anni più tardi, seguendo forse l'esempio del Machiavelli, ma certamente per amore dell'Italia, con la sua Milizia Romana di Polibio, di Tito Livio e di Dionigi di Alicarnasso, affrontò una questione completamente diversa. A Ferrara proseguì negli studi letterari e di filosofia, partecipando al vasto movimento intellettuale italiano ed alle diverse controversie accademiche. Nel 1585 pubblicò un Parere in difesa di Ludovico Ariosto e l'anno successivo tornò ad interessarsi di poesia pubblicando: Della Poetica-La Deca historiale e Della Poetica-La Deca disputata. Successivamente tornò ad occuparsi di scienze. Nel 1587 pubblicò la Nuova geometria dedicata a Carlo Emanuele di Savoia, e la Philosophia de rerum natura, che sollevarono il più grande interesse. Poco prima di partire per Roma scrisse la sua più importante opera filosofica, Nova de Universis Philosophia, salutata al suo apparire - 1591 - come la creazione di un genio, ma respinta e stigmatizzata dalle autorità ecclesiastiche. Fra le altre sue opere principali vanno anche citati i Paralleli militari, apparso nel 1594. Patrizi appartenne a quella "élite" di italiani per i quali gli orizzonti erano sempre troppo ristretti, e troppo limitati i campèi aperti alle loro attività. Essi tendevano ad elevarsi sino ai vertici del sapere umano per conseguire una più ampia visione del loro molteplice lavoro. Nel 1578 si occupò anche di opere idrauliche, e presentò al Bentivoglio uno studio per separare le acque del Reno da quelle del Po. Nello stesso tempo approfondì la musica teorica e, in merito alla musica greca - come gli riconobbe Zenatti nella sua opera Francesco Patrizi, Orazio, Ariosto e Torquato Tasso - scrisse "meglio di Galileo, di Gaffuri e Valgurio". Tentò tutte le strade del sapere, avido di percorrere quelle che non erano state ancora battute. Cercò di riformare la filosofia e la matematica, la poesia e la storia, la botanica, la fisica, e l'arte della guerra. Fornì importanti contributi allo studio dei fenomeni naturali. Gli si attribuisce il merito di averli per primo osservati con una penetrante originalità, ed è considerato un innovatore nello studio della luce, in quello del flusso e del reflusso delle acque, nella teoria del movimento della terra, nella ricerca del sistema riproduttivo delle piante. Di grandissima importanza la sua Nova de Universis Philosophia (1591), elaborata per combattere l'aristotelismo e la scolastica, per affermare nella sua pienezza il platonismo. È uno di quei lavori che si collocano alla soglia dei tempi moderni e che, chiudendo con il passato, segnano un momento luminoso nella storia della civiltà italiana. È la prima grande opera che precede il glorioso rinnovamento della scienza italiana che si realizzò al tempo di Galileo e continuò nel secolo XVII. Questa opera, tormentata e non usuale, divisa in quattro parti, "Panaugia" o della luce; "Panarchia" o del principio delle cose; "Pampsichya" o dell'anima; "Pancosmia" o del mondo, conserva ancora oggi la sua grandiosa architettura ed egli, negli spazi ancora oscuri per la sua epoca, fa apparire splendidi squarci di luce. Si può ben dire che il neoplatonismo che rinnoverà l'Italia trova la sua forza principale in Patrizi. Già ai suoi tempi, Francesco Patrizi, venne onorato come un grande Italiano. Secondo il Rossi, un biografo del XVII secolo, fu il più dotto di tutti gli italiani della sua epoca. Scriveva volutamente in italiano i dialoghi sull'arte Della Poetica per cooperare al trionfo di questa lingua sul latino. E nella prefazione sostiene la prevalenza del "volgare" rispetto all'esclusivismo della lingua dotta e latina degli umanisti. Posizione culturale che gli procurò un onore al quale teneva molto: far parte dell'Accademia della Crusca dove entrò nel 1587. Le desolanti condizioni nelle quali, allora, si trovava l'Italia, sotto il giogo di tanti stranieri, incapace di sollevarsi e di prendere con la forza delle armi il proprio posto di nazione viva e potente, angustiava Patrizi al pari di Machiavelli, di Guicciardini, del Castiglione, e di altri scrittori italiani del Cinquecento. Scrisse i suoi lavori sull'esercito romano e sull'arte militare pur sapendo di avventurarsi in un campo dove non era competente, ma sperava che l'Italia, apprendendo l'esercizio delle armi e seguendo l'esempio degli antichi, potesse tornare quello che era stata durante l'epoca romana: libera e grande.