Professione: Teologo, politico, scienziato, filosofo e letterato, arcivescovo
Luogo: Dalmazia
Autore: S. P. Novak
Marco Antonio de’ Dominis (Arbe, 1560 o 1567- Roma, 21 dicembre 1624) nacque sull’isola di Arbe, da una nobile famiglia dalmata, nel 1560 o 1567. Studiò dai Gesuiti nel Collegio Illirico di Loreto e poi nel collegio presso l’Università di Padova.
Insegnò belle lettere a Verona, matematica a Padova, e retorica e filosofia a Brescia.
Qui assunse posizioni antiaristoteliche, sconvolse il sistema filosofico dominante, e si procurò parecchi nemici.
Nel 1596 diventò vescovo di Segna. Da qui passò a Modrus dopo quattro anni, e dal 1602 fu arcivescovo di Spalato e metropolita della Dalmazia.
’era, cercò di introdurre alcune riforme nella chiesa, che portarono alla rivolta i suoi vescovi suffraganei, dai quali sarà accusato di eresia.
In seguito allo scontro con il vescovo di Traú, e trovando respinta la sua richiesta d’udienza al papa Paolo V, abbandonò Spalato, e si stabilì a Venezia.
Qui nel dibattito circa la supremazia del papa sui poteri secolari, si schierò dalla parte della Repubblica di Venezia, e fece amicizia con Paolo Sarpi.
Da qui, non obbedendo all’invito di presentarsi a Roma davanti al Tribunale dell’Inquisizione, si avviò verso l’Inghilterra.
Nel frattempo passò per Heidelberg dove indirizzò una lettera ai vescovi cattolici, considerata un chiaro atto d’accusa nei confronti della chiesa di Roma.
A Londra, dove rimase sei anni, fu accolto con grandi onori dal re Giacomo I.
Collocato al quinto posto nella gerarchia anglicana, visse alla corte dell’arcivescovo di Canterbury, svolse funzioni di decano a Windsor e cancelliere del re, e insegnò a Oxford e a Cambridge.
Questo il periodo della sua attività letteraria più intensa: qui scrisse la maggior parte delle sue opere, tra cui la Storia dello Stato Ecclesiastico in 10 libri.
Il suo maggior interesse fu per la questione della pace europea e la riforma della chiesa, quindi cercò di promuovere la pace tra i popoli, e condannò il potere temporale dei Papi in quanto contrario alle Scritture.
Le sue posizioni gli valsero il titolo di apostata, mentre le sue opere vennero tradotte in varie lingue, lette in tutta l’Europa, censurate dalla Sorbonna, poste all’indice e bruciate nel 1624.
Temendo per la sua incolumità in Inghilterra (il principe Charles stava per sposarsi con una principessa Spagnola), tornò a Roma dove si rifugiò dall’amico, e forse parente, Papa Gregorio XV.
Nel giugno del 1622, in lotta per la sopravvivenza, fu costretto ad umiliarsi in pubblico.
Dovette difendersi per le sue convinzioni giudicate troppo scomode, e pubblicare le sue scuse ufficiali nel 1623 in Sui Reditus ex Anglii Consilium (Venezia si rifiutò di pubblicarlo).
Un anno dopo muorì Gregorio XV, gli succedette Urbano VIII, e l’Inquisizione riaprì il suo processo, accusandolo di eresia recidiva.
All’età di sessantaquattro anni de Dominis venne rinchiuso in un’umida cella di Castel Sant’Angelo, dove nella notte dell’8 settembre 1624 morì di morte naturale (anche se alcuni insinuano si trattasse di avvelenamento), prima della conclusione dell’istruttoria che comunque lo avrebbe portato alla pena di morte.
Contro le sue ultime volontà, non fu sotterrato nella chiesa dei Santi Apostoli, ma trattenuto in una cripta a disposizione dell’Inquisizione.
Nel dicembre 1624 nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, davanti alla sua bara, venne pronunciata la condanna post mortem al rogo e alla Damnatio memoriae: il 21 dicembre il suo corpo venne trascinato lungo le strade di Roma fino a Campo dei Fiori e quindi, insieme alle sue opere, dato alle fiamme.
Le sue ceneri vennero sparse nel Tevere.
Ventiquattro anni prima, sul medesimo posto, la stessa fine era stata riservata a Giordano Bruno.
Contemporaneamente, Thomas Middleton, in Ighilterra, in un’opera teatrale satirica A game at chess, sbeffeggiò ferocemente un vescovo grasso, tirchio e pretenzioso.
“Così avvenne che fu sottoposto ai tormenti colui che più sinceramente degli altri vedeva la pace della chiesa in prospettiva della futura pace tra i popoli.
Fu piegato grazie alla propria intemperanza, ma anche grazie al peso del tempo che non poteva reggere da solo.
Fu uno di quelli che facilmente suscitano l’invidia dei vicini e di coloro che non risparmiano né se stessi né gli altri.
Malgrado le accuse di estremo egoismo, fu un altruista e visionario e ora si vede chiaro che ha fatto un solo errore, quello di non badare delle cose di poco conto