Viaggiando in Dalmazia tra il Quattro ed il Seicento
Diari, itinerari, isolari: Convegno all’Accademia dei Lincei sulle relazioni dei pellegrini Introduzione di Daria Garbin Nel pittoresco quartiere di Trastevere, nella sede dell’Accademia dei Lincei si è svolto il 22 e 23 maggio il Convegno sulle relazioni dei pellegrini in Dalmazia tra il Quattro ed il Seicento. Il Congresso, organizzato dai “Lincei” e dalla Società Dalmata di Storia Patria ha radunato una ventina di docenti e ricercatori dall’Italia e dalla Croazia (Università di Zara ed Università di Zagabria), che nelle loro relazioni hanno rievocato l’itinerario dei pellegrini e viaggiatori in Terrasanta. Con un minimo sforzo di fantasia, il numeroso pubblico ha avuto l’occasione di assistere ad uno spettacolo immaginario, suscitato dalle relazioni dei conferenzieri, che spesso ricorrevano a delle rappresentazioni animate dal computer, o a letture a due voci Cocca – B. von Breydenbach, ‘Peregrinatio in Terram Sanctam’, Mainz 1456 di brani scelti dagli isolari cinquecenteschi. Abbiamo assistito così agli avventurosi viaggi degli antenati che, spinti dalla devotissima fede in Cristo risorto si recavano tra il Due e Seicento in Gerusalemme per rendere omaggio al suo Santo Sepolcro. Nel loro lungo e pericoloso viaggio, che durava circa tre mesi, i più dotti dei pellegrini prendevano appunti sui luoghi visitati e sul tragitto attraverso isole e porti lungo le coste istriane, dalmate, albanesi, greche e turche. Questi appunti, rielaborati e riordinati, i cosiddetti isolari e portolani, costituiscono un genere letterario particolare che si frappone tra la letteratura religiosa e quella di viaggio. Gli isolari ed i portolani erano utilissimi ai devoti che si recavano in Terrasanta, in quanto fornivano notizie su tutto ciò di cui un pellegrino potesse avere bisogno: sulle navi da affittare e su quelle da evitare, sui contratti che bisognava stipulare con il proprietario della nave, sulle provviste, sulle rotte, sui venti, sulle maree, sul modo di regolarsi nel tempo (come stabilire che giorno fosse e quali fossero le ricorrenze religiose) e nello spazio (allora si utilizzavano solo bussola e clessidra, le mappe geografiche non erano senza errori e al posto di meridiani e paralleli la base d’orientamento era la rosa dei venti). Questi libri, alcuni dei quali hanno visto perfino 30 edizioni e avevano un’eccezionale distribuzione in tutta Europa, erano una guida dei porti visitati e delle cose da vedere (in genere le descrizioni si limitano ai beni architettonici, alle chiese ed alle reliquie dei Santi Martiri ivi custodite), notizie sui locali, sui loro usi e costumi, arricchiti qualche volta dalle nozioni sulla storia del posto. Rappresentano quindi preziosi documenti della conoscenza e della cultura del basso medioevo ed umanesimo. Il viaggio per la Terra Santa di regola cominciava a Venezia con l’affitto della nave e la susseguente stipulazione del contratto di viaggio che andava approvato dal Doge, quindi registrato, e con la prima provvista di viveri e d effetti personali (come ad es. un “buon stramazzo” e delle coperte). La rotta era quasi sempre la stessa: le cocche, galee o le vecchie navi mercantili riadattate al trasporto dei passeggeri, approdavano a Pola, Parenzo, Zara, Lissa, Lesina, Curzola, Ragusa, per proseguire verso i porti dell’Albania veneta, ovvero Cattaro e Budua, e continuare verso Jaffa o Alessandria, a seconda dell’itinerario prestabilito. Fuori dalle rotte principali restavano, quindi, le città più “all’interno”, Sebenico, Traù e Spalato, anche se alcuni isolari portano notizie anche di queste città. Le descrizioni dei viaggiatori sono più o meno uguali: di Pola ricordano sempre la necropoli romana, di cui scrisse anche Dante, ricordano la sua arena e sottolineano il fatto che il golfo del Quarnaro segna il confine tra l’Italia e la Sclavonia; a Zara ricordano chiese con le reliquie dei santi, le isole Lesina, Lissa e Curzola sono descritte sommariamente e più notizie si danno per Ragusa, dove si ammirano le possenti mura, il convento dei Francescani, le “belle donne vestite di pudore”, per cui tutti fanno l’amore con le loro “serve”. In genere le informazioni fornite sono attinenti alla realtà, anche se si può notare un certo qual schematismo nelle descrizioni, conformi al topos letterario del laudo urbis, che prestabiliva l’elogio della città e delle sue chiese, in quanto rappresentavano il fulcro dell’interesse dei pellegrini. Sono frequenti anche informazioni sulle reliquie venerate nelle città visitate, che per un lettore dei giorni nostri possono sembrare alquanto Veduta di Zara – Rosacciomacabre: a Zara, per es. si possono venerare un braccio con tutte le dita, un piede, una gamba, la parte frontale del cranio del santo protettore della città. In Dalmazia si sostava sia all’andata che al ritorno. Non privo di curiosità è proprio il fatto che le descrizioni delle cittadine dalmate variassero in base al fatto se erano descritte nel viaggio di andata piuttosto che in quello di ritorno: andando per Gerusalemme, le città della costa dalmata sono viste come qualcosa di esotico, mentre al ritorno, dopo le avventure nel Medio Oriente, vengono vissute come qualcosa di noto che evoca la casa. La Dalmazia, quasi dimenticata nel corso del Medioevo in seguito alle invasioni barbariche, riacquista l’attenzione dei viaggiatori e studiosi umanisti e rinascimentali, per diventar nel ’500, insieme alla Repubblica di Venezia, spazio della fioritura rinascimentale veneto-dalmata, favorita anche dai commerci della Serenissima con l’Oriente. Lo stabilirsi delle nuove rotte marittime in seguito alle scoperte di Vespucci e Colombo, le devastazioni turche e le pesti nel Sei e Settecento ed il susseguente impadronirsi dell’Austria della costa orientale dell’Adriatico nell’Ottocento, freneranno notevolmente lo sviluppo politico e sociale dalmata. La storia, con il suo andamento ciclico, un’altra volta allontanerà la Dalmazia dalle correnti culturali del mondo occidentale, a cui storicamente e culturalmente appartiene: nel corso del Novecento, poi, con il consolidamento dell’ordinamento politico dello stato iugoslavo, la Dalmazia andrà a farvi parte sin dal 1918. Così come agli albori dell’umanesimo, quando la dotta Europa scopriva la Dalmazia ricca di storia, oggi assistiamo alla riscoperta dello stratificato patrimonio storico e culturale di una terra di confine, che come Giano bifronte, è un arco verso l’Oriente situato sul limes della civiltà Occidentale. Questo Convegno segna pertanto il ritorno della Dalmazia nella sfera degli interessi scientifici, universitari ed editoriali e, si spera, serva a diffondere le conoscenze di questa terra anche tra chi pur non contando legami con la Dalmazia, ha la consapevolezza di appartenere a una cultura multiforme, ma in fondo unica, che nell’arco dei millenni il Mare Adriatico ha creato sulle sue sponde.
Daria Garbin
L’Osservatore Adriatico
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