Viaggio nelle radici istriane: una giornata straordinaria da Piemonte a Castagna
Passo dopo passo alla conquista di un concetto. Le Rogazioni in Istria, il 25 aprile, sono una tradizione antica, in questi giorni si pregava nelle chiese e cappelle fuori le mura affinché la benedizione divina liberasse i campi ed il mare da fulmini e tempeste. Scampagnate per sentieri in terra ferma e verso le isole con le barche nelle città di mare, coinvolgevano tutti, in una festa propiziatoria per le messi e la pesca.
Quale preghiera accomuna una settantina di persone” – in buona parte muggesani ma anche da Venezia, Bologna, da Trieste – in marcia da Piemonte d’Istria verso Castagna e ritorno in questa giornata speciale? Una doverosa premessa: la zona interessata è lontana da centri abitati numericamente importanti, le località, grandi e piccole, sono caratterizzate da un abbandono che è assurto a simbolo dell’esodo da questa terra, case diroccate, implose, macerie della storia del Novecento in quell’Alto Buiese di colline tormentate di indicibile bellezza che tormenta i sogni di chi vi è nato o vi appartiene in vario modo. Perché? Per il fatto che tanto degrado genera sofferenza, nel vedere scomparire una civiltà che gli anziani ricordano vitale, palpabile, piena di passione. Una terra difficile ma per certi versi magica, trattiene le persone, chi vi arriva s’innamora, chi passa si pone mille domande sulle motivazioni di un abbandono che oggi non ha più ragione di esistere se non fosse per situazioni ancora inevase, proprietà indefinite, contenziosi sul passaggio dei beni nazionalizzati, restituzioni ancora in attesa di una definitiva sentenza.
E allora, terminata l’epoca della contrapposizione diretta, ricomposto il dolore, quale rapporto delle nuove generazioni, di chi affonda le proprie radici in questa terra, con il mondo dei piccoli paesini del territorio. Si è cominciato con poco, il ritorno per una visita la domenica, le chiacchiere con i pochi paesani rimasti, le prime azioni di ripristino delle antiche pertinenze come quella della fontana alle porte di Piemonte, l’amore di un uomo come Franco Biloslavo – rappresentante di punta della Comunità di Piemonte d’Istria all’interno dell’Associazione delle Comunità istriane di Trieste, anima di queste iniziative – che ad un certo momento della sua vita, decide che l’unico ritorno possibile, è il ritorno. Da solo, con la famiglia, con gli amici, con chi si riconosce in questa filosofia elementare ma fondamentale: se appartieni ad un mondo quel mondo ha qualcosa da comunicarti.
Settanta persone, di tutte le età, compresi i bambini, sono partite la mattina del 25 aprile dal piazzale davanti la chiesa, per percorrere i sentieri sui crinali per raggiungere Castagna. Due ore di cammino circa, in un lungo serpente umano, rapito dalla bellezza dei luoghi, lungo la strada romana, per arrivare alla prima cappella che conserva in un interno devastato, piccoli segni di preziosi affreschi quattrocenteschi degradati dal tempo ma soprattutto dall’incuria. “Si ripulisce ogni anno – è il passaparola dei partecipanti – ma è sempre più fatiscente”. Si procede in silenzio, masticando idee e promesse sulle cose da farsi, riportare in luce la via romana di cui si vedono appena alcuni cenni di lastricato, recuperare gli affreschi, restaurare la cappelletta. Ci si ferma a riprendere fiato sui belvedere che si spalancano sul panorama di Piemonte e la vallata circostante prima di arrivare a Circoti ed ammirare lo splendore orografico del fiume Quieto e delle colline circostanti con Montona a sinistra e il mare a destra, un incanto di verdi distese spalmate a valle e sulle pendici, sui terrazzamenti, su tutto ciò che la primavera sta riportando in vita.
Si scende verso la chiesa del cimitero, anch’essa affrescata. Alcune lapidi ricordano ai locali le atrocità della guerra che non hanno risparmiato gli innocenti, uomini contro uomini, a causa delle ideologie o delle lingue contrapposte. Un momento di raccoglimento ed il racconto di chi si è documentato. Una bimba fa suonare la campana di San Primo riportando tutti sui sentieri della festa. Alcune case coloniche sono state acquistate da stranieri e restaurate splendidamente, tirata a lucido la pietra quasi stride nel paesaggio aspro, nel ricordo di Piemonte alle spalle, implosa, finita. Castagna è quasi raggiunta col sole a picco lungo il tracciato della famosa ferrovia a scartamento ridotto, costruita ai primi del Novecento e nota col nome di Parenzana. Quasi un mito per l’Istria interna che s’era vista dal 1902 al 1935 percorsa da un progetto di rivitalizzazione del cuore di questa penisola, caratterizzato ora da tanto silenzio.
Si riflette sull’appartenenza a questa terra durante il pranzo che Biloslavo ha prenotato per tutti, distribuendo i partecipanti ai vari tavoli secondo alcuni colori. Guai a chi si azzarda di mescolare le carte, proibito cambiare posto, si ride, si scherza, ma i conti tornano, la disciplina è fondamentale. Minestra, gnocchi, fusi, carne sotto la campana, le frittole. Ci sono volute ore, ma alla fine, satolli, il canto si libera senza peso ed è già tempo di ritornare, questa volta riprendendo il corso della Parenzana, da Castagna a Piemonte, agevole, si può continuare a cantare, si liberano motivi montanari a rivelare la partecipazione a tante gite del CAI. Ma tu di dove sei: di Trieste. Niente Istria? Mia mamma è di Pola. E tu? Verteneglio. E tu? Orsera e Rovigno. Ma sei l’amica conosciuta su facebook, da dove arrivi. Da Bologna e stasera ripartiamo. Si parla di scuola, di progetti europei, mentre le gambe macinano salite e discese per accorciare il percorso.
Vedi in questa casa abitava una bambina come te. Racconta un nonno alla nipotina di fronte ad un rudere. Ma nonno, cosa dici, ci sono gli alberi dentro casa, non può abitare una bambina…
San Pelagio è un miraggio, la casa colonica costruita su una spianata si apre sui quattro punti cardinali, i due fabbricati della casa sono separati da un arco che corre e ne divide il primo piano. Da una parte il fienile, dall’altra la casa padronale, sopra, la stalla affrescata e lastricata in pietra e la chiesa. Sull’architrave della porta d’entrata sono scolpiti vari simboli sui quali spicca la croce dei Templari che qui avevano probabilmente una loro stazione di passaggio verso l’altra sponda del Quieto. E’ un posto maledetto – dice Ferruccio Giannini, nipote dei Silli, i vecchi proprietari.
Forse ha ragione per il fatto che la maledizione è proprio nella bellezza di questa casa-vedetta che controlla tutto il mondo esistente…almeno così era una volta. E l’attrazione è forte come il desiderio di rimanere in situ, diventare pietra, come nelle leggende. Piano piano, mi sono accorto che qualcuno si sta portando via le pietre…Ma a chi appartiene questa casa splendida, o almeno ciò che rimane, di chi sono questi ruderi? Lui è uno della famiglia, sa tutto di questo posto, la storia di ogni piccola parte. La proprietà è stata nazionalizzata, poi venduta. Fine della storia.
Il sole sta calando, le zanzare hanno avvertito la presenza di gente in movimento. L’idea ha funzionato, si torna più ricchi, con la consapevolezza di aver incontrato volti nuovi, gente alla ricerca di conferme sulla propria appartenenza, che gioisce di queste esperienze. Sono state scattate foto, c’è chi ha cercato ispirazione per i propri quadri, chi continua a lamentarsi di aver mangiato troppo sperando che i tanti passi siano d’aiuto. Senz’altro di conforto alla fine di una giornata straordinaria, durante la quale con una passeggiata libera, senza quote d’iscrizione, ognuno ha pronunciato sottovoce la propria preghiera per tenere lontani fulmini e tempeste.
Rosanna Turcinovich Giuricin
L’Osservatore Adriatico
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