Nella battaglia di Opicina c’erano già le tensioni della Guerra fredda
Gli eventi che sono stati rievocati sul quotidiano Il Piccolo di Trieste il 30 aprile 2020 nell’articolo “La battaglia di Opicina del 30 aprile 1945. Così partigiani e alleati sbaragliarono i nazisti” forniscono spunti per ulteriori riflessioni sulla situazione locale e internazionale di quell’ultima primavera di conflitto. Si può fare ad esempio riferimento a Leone Veronese Jr. “1945 la battaglia di Opicina” (Luglio, Trieste 2010) ed al lavoro basato su fonti d’intelligence britannica “Flashpoint Trieste. La prima battaglia della Guerra Fredda” di Christian Jennings (Leg, Gorizia 2017), da cui si evince che le operazioni militari dell’alto Adriatico erano senz’altro concordate tra jugoslavi ed angloamericani, ma da parte di questi ultimi vi erano diversi ordini di problematiche. Al “Trst je naš” intonato dalle forze partigiane di Tito si contrapponevano considerazioni di carattere logistico che imponevano l’occupazione del porto di Trieste (ed in subordine della base navale di Pola) per rifornire le truppe alleate che sarebbero state dislocate in Austria e Germania meridionale, cioè territori connessi con lo scalo giuliano grazie alle infrastrutture realizzate dagli Asburgo. Queste due diverse prospettive in merito alla sorte della Venezia Giulia avrebbero dato in effetti vita alla cosiddetta “corsa per Trieste”, come fu definita da un ufficiale di Sua Maestà che la visse sul campo.
Inoltre erano note ai vertici militari e politici di Londra e di Washington le preoccupazioni italiane in merito alla definizione del nuovo confine orientale, tanto da temere scontri militari e politici tra forze appartenenti al fronte antinazista ed il precedente della guerra civile greca scoppiata fra nazionalisti e comunisti a liberazione ottenuta dimostrava che il delicato settore mediterraneo poteva degenerare in situazioni simili. Senza omettere quella che era la crescente consapevolezza all’interno dell’alleanza atlantica del fatto che, una volta debellato il nazifascismo, il nuovo avversario sarebbe stato il comunismo sovietico, di cui nello scacchiere balcanico in quella fase storica Tito era il rappresentante sommo.
Pertanto angloamericani e jugoslavi convergevano su Trieste con intenzioni a stento compatibili e in effetti ci furono momenti di tensione all’arrivo della colonna corazzata britannica da Trieste a Opicina, ove i tedeschi, analogamente ai commilitoni arroccati in città, volevano arrendersi ad un esercito regolare che li avrebbe trattati conformemente alle leggi di guerra a tutela dei prigionieri, invece che alle truppe partigiane jugoslave che ne avrebbero fatto strage. La tensione era tale che tra inglesi e jugoslavi avvenne un breve scontro a fuoco, che si poneva in continuità con le catture di incursori britannici sbarcati in Istria da parte dei partigiani comunisti e avrebbe trovato un seguito nelle tensioni diplomatiche tra potenze occidentali e Belgrado proseguite fino all’uscita di Tito dal Cominform nel 1948.
La vittoria partigiana a Opicina, contestualmente all’arrivo in città del IX Corpus avrebbe, inoltre, segnato l’inizio di quei 40 giorni di retate, delazioni, processi sommari, deportazioni, infoibamenti e sparizioni nel nulla di cui sarebbero stati vittima non solo ex fascisti e collaborazionisti dei nazisti, ma anche e soprattutto patrioti antifascisti contrari all’annessione alla nascente Jugoslavia comunista ed ex partigiani che avevano lottato contro i nazisti scatenando anche l’insurrezione cittadina del 30 aprile. La guerra di liberazione nazionale jugoslava si era, infatti, trasformata in una campagna militare espansionista con mire su Venezia Giulia, Carinzia e Salonicco: le truppe titine che combatterono a Opicina non intendevano portare la Liberazione agli italiani del confine orientale, bensì sottoporli ad una nuova occupazione straniera.
Lorenzo Salimbeni